Tolti otto punti di penalizzazione al Valfabbrica Calcio, a seguito del ricorso depositato dalla Società Umbra, a mezzo dell’Avv. Petruccelli Rosa, dinanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale.
La Commissione Disciplinare Nazionale, presieduta dall’Avv. Artico, ha accolto il ricorso, riducendo la sanzione da 10 punti di penalizzazione a soli due punti di penalizzazione, e la multa da euro 5000 ad euro 1500 (C.U. n. 93/CDN del 24.05.2013)
I FATTI
L’allenatore della ASD Valfabbrica, avrebbe tentato di combinare una partita del Campionato di Promozione Umbro, all’insaputa dei dirigenti della Società.
Tentativo non accolto.
In primo grado, dinanzi alla Commissione Disciplinare Territoriale Umbra il Valfabbrica Calcio veniva sanzionato con dieci punti di penalizzazione ed euro 5000 di multa.
Ritenuta eccessiva la sanzione, la ASD umbra, a mezzo dell’Avv. Petruccelli Rosa chiedeva ed otteneva dalla Commissione Disciplinare Nazionale la riduzione richiesta.
La sanzione così ridotta veniva comminata, stante l’assoluta accertata estraneità della società ai fatti, a titolo di responsabilità oggettiva.
Al fine di supportare la propria difesa, l’Avv. Petruccelli Rosa faceva riferimento al precedente CASO DONI-ATALANTA.
In particolare poneva in risalto il principio di diritto secondo cui se è vero che la responsabilità oggettiva è un cardine dell’ordinamento sportivo, è altrettanto vero che è necessaria una graduazione della responsabilità in relazione al caso concreto.
In altri termini, nel valutare la misura della sanzione da applicare alla società sportiva, in conseguenza dell’illecito commesso dal proprio tesserato, occorre prendere in considerazione non solo la gravità del fatto commesso dal tesserato, ma anche il ruolo rivestito dalla Società nella vicenda illecita.
Laddove la società non ha ricevuto alcun vantaggio dall’illecito perpetrato dal proprio tesserato, e non ha rivestito alcun ruolo nella vicenda illecita, la sanzione dovrà essere particolarmente lieve.
Nel caso del Valfabbrica è stata riconosciuta l’assoluta estraneità della società al presunto fatto illecito del tesserato.
Peraltro il Valfabbrica, da un punto di vista sportivo, non ha tratto alcun vantaggio dall’illecito, non essendo stato consumato.
Pertanto la società umbra ha ottenuto la vittoria nella partita “incriminata”, senza alcun illecito apporto esterno.
Alla stregua di tali principi, la Commissione Disciplinare Nazionale accoglieva la richiesta dell’Avv. Petruccelli Rosa, riducendo la sanzione in maniera sensibile
Ben possiamo dire che la responsabilità oggettiva non è inattaccabile
La ASD Valfabbrica, a mezzo del suo legale, la sottoscritta Avvocato Rosa Petruccelli,
chiedeva ed otteneva dalla Commissione Disciplinare Nazionale, Giudice Sportivo di secondo grado in Roma,
che si accertasse l’estraneità della Società in ordine alla tentata combine del suo allenatore.
La Commissione Disciplinare Nazionale accoglieva le argomentazioni della difesa
e riduceva la penalizzazione da 10 punti a 2 punti di penalizzazione per responsabilità oggettiva (senza colpa propria)
Scontata la sanzione e riscritta la classifica la vicenda aveva un inquietante seguito che ha dato
origine ad un secondo ricorso proposto dalla ASD Valfabbrica, sempre a mezzo della scrivente difesa dinanzi al Giudice
Sportivo Alta Corte di Giustizia Sportiva CONI di cui si allegano gli atti giudiziari di parte ricorrente (Valfabbrica)
In particolare
Il 9 settembre 2013 l’Avvocato Rosa Petruccelli ha discusso, nell’interesse della ASD Valfabbrica,
davanti all’Alta Corte di Giustizia Sportiva del CONI, a Roma un ricorso in cui vengono affrontate, per la prima volta, importanti questioni giuridiche di diritto sportivo.
1) è giusto che una società sportiva sanzionata a titolo di responsabilità oggettiva ( e quindi senza colpa alcuna) debba essere esclusa dai “ripescaggi”?
2) è giusto che una società sportiva, a cui è stato fatto disputare i Play-Off, una volta che li ha vinti
venga esclusa dalla Categoria Superiore conquistata sul campo, a causa di una sanzione per responsabilità oggettiva che era ben conosciuta già prima della disputa dei Play-Off?
3) Il principio di correttezza, lealtà e probità di cui all’articolo 1, comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva deve essere rispettato solo dai tesserati e dalle società sportive oppure viceversa anche
dai soggetti (FIGC LEGA COMITATI) preposti ad organizzare e gestire le competizioni calcistiche?
4) Le società sportive danneggiate da eventuali errori della FIGC LEGA E COMITATI hanno diritto di vedersi risarciti tali danni?
Guardate gli allegati relativi agli atti del processo:
Lo Sport è un settore con grandi potenzialità sia sotto l’aspetto materiale e quindi economico, sia sotto l’aspetto morale e quindi dello sviluppo psico-fisico, dell’educazione dei giovani e non da ultimo strumento di conservazione dello stato di benessere e salute della comunità intera.
Tutto ciò a patto che il sistema sportivo rispetti le regole che si è dato, prima tra tutte, quella per cui il risultato sportivo deve essere raggiunto attraverso le proprie capacità, il proprio impegno, il proprio sudore.
Il mancato rispetto di questa regola che nel mondo sportivo rappresenta, come vedremo, non una semplice prescrizione morale, ma una vera e propria norma giuridica, e quindi punita con una sanzione disciplinare, svuota di significato il senso stesso dello Sport.
Intanto lo Sport può continuare ad essere quello che è e cioè un generatore di emozioni in quanto impariamo di nuovo a “giocare pulito”.
Il calcioscommesse, le recenti rivelazioni di Armstrong a proposito dell’uso da parte sua di sostanze dopanti altro non sono che violazioni di quella regola fondamentale di cui parlavo.
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Il Sistema Sportivo è un mondo a sé, che si fa le norme da sé (che in taluni casi divergono da quelle statati), ha proprio organi di governo, ha propri giudici, ha propri “cittadini” (i tesserati e affiliati). Noi giuristi diciamo che si tratta di un ordinamento giuridico, e quindi un sistema organizzato, autogestito, autoreferente. Un sistema che non termina a livello nazionale, avendo ramificazioni a livello internazionale. Al di sopra delle Federazioni Nazionali, ci sono le Federazioni Internazionali, al di sopra del CONI c’è il CIO Comitato Olimpico Internazionale.
Abbiamo detto è un sistema che si fa le norme da sé.
Ogni Federazione ha le sue norme, i suoi giudici, i suoi apparati di governo.
Per esempio la Federazione Italiana Giuoco Calcio ha riunito tutte le norme sostanziali e di procedura in un codice, denominato Codice di Giustizia Sportiva.
E vedremo come in queste norme si nota una forte propensione del sistema sportivo al rispetto dei principi etici: quasi che nel mondo sportivo la morale, la religione e il diritto siano un tutt’uno.
Infatti lo Sport si fa portatore dei valori di coesione sociale, di rispetto dell’altro, di condanna forte contro la discriminazione soprattutto razziale e contro la violenza. Questa propensione noi la troviamo nelle norme sportive.
Laddove, come meglio dirò successivamente, si fissa la regola secondo cui le società sportive rispondono degli illeciti dei propri tesserati nonché dei comportamenti violenti e razzisti dei propri tifosi.
E ne rispondono non a livello morale, ma giuridico. Pensiamo che per le società di serie A ci sono pesanti multe che vanno dai 20.000 ai 50.000 euro, e potrebbe scattare anche la perdita della partita a tavolino per un episodio di violenza o razzismo degli ultrà.
Le società hanno dunque un vero e proprio obbligo di predisporre misure atte a evitare episodi razzisti e violenti.
Dicevamo una forte propensione delle norme sportive al rispetto di principi etici.
Infatti l’articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC (ma il discorso vale per tutte le Federazioni) si apre dicendo che “tutti coloro che appartengono al mondo giuridico devono rispettare i principi di correttezza, lealtà, probità”, oltre ovviamente agli atti e alle norme federali.
I termini correttezza, lealtà, probità sono dei termini con forte connotazione religiosa, etica, morale, ma nel mondo sportivo sono codificati.
Infatti sono contenuti nel codice di giustizia sportiva che contiene norme giuridiche.
La giuridicità di queste norme, di questi principi sta a significare che il soggetto del mondo sportivo che viola questi principi viene sottoposto a sanzioni disciplinari: e quindi squalifica per la persona fisica, radiazione dal mondo sportivo; per le società punti di penalizzazione, retrocessione.
Quindi sanzioni piuttosto gravi. Non si tratta di un semplice monito moralizzatore: “dovete essere corretti e leali”. No è un vero e proprio precetto giuridico.
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Il Codice di Giustizia Sportiva poi così come fa il Codice Penale, prevede anche delle ipotesi illecite specifiche.
Pensiamo ad esempio all’illecito sportivo, che nel sistema sportivo è la violazione più grave, proprio perché viola la regola fondamentale, quella secondo cui non è importante solo raggiungere il risultato, è importante come lo si raggiunge.
Infatti l’illecito sportivo è l’atto diretto, con qualsiasi mezzo, ad alterare il risultato di una gara. Illecito che nel mondo sportivo è sanzionato con non meno di tre anni di squalifica (e per le società con i punti di penalizzazione).
Quindi se i capitani di due squadre si mettono d’accordo sulla combine di una partita è evidente che scatta l’illecito sportivo.
Ma qui vorrei aprire una parentesi (anche qualora non possa dirsi configurato l’illecito sportivo, neanche tentato, perché magari la proposta di combine della partita è stata rifiutata, colui che ha declinato si, la proposta illecita, ma non l’ha fatto immediatamente, cioè l’ha fatto solo dopo che ci sono stati degli incontri, delle trattative, per costui, il quale ha poi in definitiva rifiutato la proposta di truccare la partita scatta la violazione della correttezza e lealtà sportiva, vediamo quindi come i principi di correttezza e lealtà sono vere e proprie norme giuridiche).
Il soggetto appartenente all’ordinamento sportivo ovviamente è anche cittadino dello Stato. E anche lo Stato lo punisce per l’illecito sportivo, non lo punisce invece per la slealtà sportiva. Ma per l’illecito sportivo si , ovviamente con altri tipi di sanzione. Con la sanzione penale, perché l’illecito sportivo nello Stato è reato, il reato di frode sportiva, un reato punito con la reclusione fino a due anni.
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Tutti noi conosciamo i fenomeni degenerativi nel mondo del calcio, pensiamo al fenomeno del “calcioscommesse”.
E tutti noi sappiamo che il fenomeno criminale è ben più ampio. Non si limita cioè al semplice reato di frode sportiva, avendo la magistratura statale riscontrato un vera e propria associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Quindi con implicazioni della criminalità organizzata nazionale ed internazionale.
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C’è un’altra norma sportiva, contenuta nel Codice di Giustizia Sportiva che mostra la forte propensione del mondo sportivo a preservare l’Etica nello Sport.
Mi riferisco alla norma che punisce l’omessa denuncia.
Il soggetto appartenente al mondo sportivo che viene a conoscenza di un illecito sportivo da altri commesso, deve immediatamente riferirne alla Procura Federale.
Cioè al Giudice Sportivo Inquirente e Requirente.
Se non lo fa è sottoposta a procedimento disciplinare e quindi a sanzione disciplinare.
Pensiamo al caso dell’allenatore della Juve Conte. Antonio Conte è stato giudicato colpevole per omessa denuncia dai Giudici Federali di primo e secondo grado (commissione disciplinare e corte federale), la sanzione ultima comminata dal Tnas Tribunale Nazionale Arbitrato sportivo, gestito dal CONI all’allenatore della Juve è stata 4 mesi di squalifica.
Anche questa norma dimostra come il mondo sportivo condanna fortemente ogni comportamento sleale tanto che impone ai propri cittadini tesserati di denunciare il comportamento illecito.
Questa condotta illecita, l’omessa denuncia, a differenza dell’illecito sportivo viene sanzionata solo nel mondo sportivo. Non anche nell’ordinamento statale.
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Voglio fare un ultimo accenno a una tematica particolarmente importante, a cui ho fatto riferimento prima e cioè l’obbligo che le società sportive hanno di prevenire e combattere fenomeni di razzismo e violenza negli Stati
Le società sportive a tal fine predispongono sistemi di controllo all’ingresso degli Stadi, attraverso soggetti privati (considerati pubblici ufficiali nell’ipotesi in cui vengano aggrediti) che coadiuvano le forze dell’ordine nei controlli. Controllano dunque i tifosi per verificare che entrino nello Stadio striscioni che inneggianti alla violenza oppure al razzismo o per evitare che entrino nello Stadio oggetti pericolosi.
L’ultrà cerca la guerra e quindi laddove trova terreno fertile basato su pregiudizi e discriminazione affonda le armi della ignoranza e della intolleranza.
Al contrario lo Sport proclama il rispetto dell’avversario. Perché se ci pensiamo bene la presenza dell’avversario è necessaria alla competizione. Senza l’avversario non ci potrebbe essere competizione nel calcio.
Il problema è fondamentalmente culturale. Occorre riappropriarsi del vero significato dello Sport. Perché questi fenomeni degenerativi sono tutto tranne che Sport.
La legge n. 376 del 2000 all’articolo 3 prevede l’istituzione presso il Ministero della Sanità della Commissione per la Vigilanza e il Controllo sul doping (CVD). La Commissione è composta oltre che dai tecnici, dai rappresentanti del Ministero della Sanità e dei Beni e delle Attività Culturali, rappresentanti delle Regioni, del CONI, degli atleti e degli enti di promozione sportiva. E’ compito della Commissione di Vigilanza Antidoping individuare le sostanze dopanti e per fare ciò affida a laboratori accreditati dalla Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) i controlli antidoping, la ricerca sui farmaci, sulle sostanze e metodi che costituiscono doping. La legge n. 376 del 2000 aveva introdotto la suindicata Commissione con il compito di sostituire il CONI nella funzione di determinare i casi e i metodi dei controlli antidoping. In altri termini l’Italia attraverso la istituzione della Commissione di Vigilanza Antidoping avrebbe dovuto avocare a sè i controlli antidoping, lasciando alla competenza del CONI solo l’applicazione delle sanzioni disciplinari. Attualmente la Commissione ha affidato i controlli antidoping alle strutture sportive.
In occasione dei controlli antidoping delle Olimpiadi di Torino 2006 la Commissione si è divisa: alcuni componenti che facevano capo al CONI hanno ritenuto che i controlli dovessero essere affidati al CIO-WADA. Il contrasto con il Ministero della Salute è stato risolto nel senso che un membro della Commissione Ministeriale. il Segretario Generale della Commissione, nonchè una segretaria hanno presenziato all’espletamento dei controlli affidati totalmente alla WADA e ai laboratori del CIO. Ossia agli enti sportivi. Il Ministero della Salute ha così revocato il decreto che attribuiva al Ministero della Salute la competenza dei controlli antidoping durante le manifestazioni sportive internazionali che si svolgevano in Italia. Con questo provvedimento il CONI è diventato di nuovo il responsabile dei controlli antidoping e il CIO ha l’esclusiva dei controlli sugli eventi internazionali.
Dalla definizione di doping contenuta nella legge n. 376 del 2000 si evinche che commette doping sia l’atleta che assume sostanze o adotta pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, al fine di alterare le proprie prestazioni atletiche, sia chi le somministra o le procura agli atleti (es. medici sportivi, allenatori etc). Commettono, altresì, doping coloro che assumono o somministrano le sostanze vietate al solo scopo di vanificare i controlli antidoping. Una delle più importanti novità della legge n. 376 del 2000, è di avere introdotto la sanzione penale per i comportamenti vietati sopra descritti. Infatti l’articolo 9 della legge n. 376 del 2000, prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato (ad esempio omicidio colposo), è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni, chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o sostanze vietate. la medesima pena si applica a chi adotta o sottopone altri a pratiche mediche vietate al solo scopo di modificare gli esiti dei controlli antidoping. Il comma 7 dell’articolo 9 della legge n. 376 del 2000 prevede inoltre la fattispecie di commercio abusivo di sostanze dopanti, prevedendo una pena più pesante rispetto a quella prevista per il reato di doping. Ossia la reclusione da 2 A 6 anni e la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni. E’ importante sottolineare che le sostanze e le pratiche mediche indicate nella legge e puntualizzate nei decreti ministeriali non sono illeciti di per sè. Lo diventano allorchè vengono utilizzate da o su soggetti sani, al solo scopo di migliorare le prestazioni atletiche, con conseguente alterazione psico-fisica dell’organismo. Poichè però anche l’atleta può ammalarsi, e può avere quindi la necessità di utilizzare quelle sostanze il cui uso “anomalo” è considerato reato, al fine dunque di tutelare la salute dell’atleta, ilcomma 4 dell’articolo 1 della legge n. 376 del 2000, prevede che in presenza di condizioni patologiche dell’atleta documentate e certificate dal medico, all’atleta può essere prescritto specifico trattamento, purchè sia attuato secondo quanto previsto dai regolamenti sportivi e nel rispetto dei dosaggi richiesti dalle specifiche esigenze terapeutiche. In tal caso l’atleta ha l’obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti la relativa documentazione. Orbene all’atleta che partecipi a competizioni sportive è consentito utilizzare trattamenti terapeutici, ma nel rispetto dei regolamenti sportivi. Il regolamento antidoping adottato dalla Agenzia mondiale antidoping (WADA), approvato dalla Giunta Nazionale del CONI, ha previsto che gli atleti affetti da una patologia documentata, che necessita l’uso di una sostanza vietata o di un metodo vietato, possano richiedere di essere autorizzati all’uso (c.d. esenzione e fini terapeutici). Se l’atleta ha omesso di seguire la procedura per ottenere l’esenzione si pone il problema di stabilire se debba essere sanzionato penalmente. Si ritiene che l’omissione della procedura non esclude l’esistenza della patologia, pertanto l’omessa osservanza della procedura di esenzione ai fini terapeutici potrà costituire solo illecito sportivo.
Prima della legge del 1981 n. 1 il professionista sportivo non veniva inquadrato in un rapporto di lavoro, in quanto si riteneva che lo sport
fosse estraneo al sinallagma tipico dei rapporti di lavoro.
Secondo questa impostazione l’essenza dello sportivo (senza distinzione tra professionista e non) è la tensione verso la vittoria e verso il miglioramento della efficienza fisica e morale.
Ante riforma dunque non vi era alcuna differenza tra dilettantismo e professionismo, in quanto la sostanza del fenomeno era considerata la medesima.
Il rapporto tra atleta professionista e società sportiva era caratterizzato esclusivamente dall’affiliazione all’associazione sportiva e
dall’autorizzazione amministrativa da parte della Federazione competente.
L’atleta professionista era vincolato alla società che lo aveva formato.
Il vincolo a favore della associazione sportiva si configurava come un vero e proprio patto di non concorrenza.
Soltanto la rinuncia al patto di non concorrenza da parte del titolare del vincolo (rappresentato documentalmente dal cartellino)
consentiva (dietro pagamento di un corrispettivo), che l’atleta potesse passare ad altra associazione.
La legge del 1981 n. 91 interviene in maniera significativa su questi aspetti.
Invero essa:
1) abolisce il vincolo sportivo con conseguente eliminazione di ogni limitazione della libertà contrattuale dell’atleta professionista;
2) formula una netta distinzione tra dilettantismo e professionismo;
3) impone alle società sportive di trasformarsi in società per azioni o in società a responsabilità limitata.