STALKING E FEMMINICIDIO

COME SI ARRIVA AL FEMMINICIDIO AD OPERA DI UOMINI APPARENTEMENTE SANI DI MENTE?
SI TRATTA DI UN RAPTUS?
TUTT’ALTRO
Qui la mia relazione all’incontro del 17 Ottobre 2018 presso Sala di Notari di Perugia, una delle sale più belle ed importanti della città.
Con la seconda RELAZIONE cercherò di illustrare quali sono i meccanismi attraverso i quali si passa dalla manipolazione, che è una delle forme più gravi di violenza psicologica, alla violenza fisica, all’omicidio, al feminicidio, al parricidio.
Il femminicidio quasi mai è conseguenza di un raptus
E’ piuttosto l’atto finale di un’escalation di violenza psicologica nei confronti della donna.
Spesso dietro questa escalation di manipolazione e violenza psicologica c’è un narcisista perverso .
La perversione di cui vi parlo non è afferente alla sfera sessuale.
Quindi non sto parlando di perversione sessuale quanto piuttosto di perversione mentale, sadismo mentale: il perverso godimento nel procurare l’angoscia nell’altro.
Per impostare correttamente la problematica del narcisismo perverso dobbiamo focalizzare l’attenzione sulla particolare tipologia di condotta tipica del narcisista perverso.
Egli, infatti, si relaziona con gli altri esclusivamente mediante condotte manipolative.
Si tratta di una particolare forma di manipolazione mentale che possiamo definire relazionale, che riguarda, cioè i rapporti tra coniugi, conviventi, fidanzati, genitori e figli, gruppi di adolescenti, gruppi di adulti.
La manipolazione relazionale costituisce il nucleo da cui ha origine la dipendenza psicologica della vittima.
Parliamo di “dipendenza affettiva” perchè ci muoviamo nell’ambito dei rapporti affettivi, fraterni, sentimentali, amicali .
Quest’aspetto è particolarmente importante per comprendere la peculiarità sia della manipolazione sia della dipendenza psicologica.
Da un lato abbiamo il manipolatore perverso il quale costruisce ad arte ed in maniera fittizia rapporti di stima, di amicizia, di amore, dall’altro abbiamo la vittima che quei rapporti di stima, di affetto, di amicizia li prova davvero.
Questo duplice aspetto gioca un ruolo determinante per la caduta della vittima nell’abisso della dipendenza psicologica.
Ed è proprio la dipendenza psicologica connessa e conseguente alla manipolazione mentale che ci consente di comprendere il motivo per cui le vittime, pur subendo violenze fisiche e psicologiche notevoli non si ribellano e non abbandonano i partners violenti.
Inoltre la caratterizzazione affettiva del fenomeno manipolativo ci consente di intuire la gravità del danno psicologico che la vittima subisce, tanto che riguardo alle vittime del narcisista perverso la comunità scientifica parla di disturbo post-traumatico da stress.
Chi è, dunque, il soggetto affetto da disturbo narcisistico di personalità?
Può essere un uomo, una donna, un adolescente, un gruppo.
Di solito di sesso maschile, ma sia pure con differenti caratteristiche anche di sesso femminile.
Il disturbo in oggetto non incide negativamente sulle capacità intellettive e cognitive dell’individuo.
Il narcisista perverso è mentalmente sano.
La patologia risiede in una sorta di disfunzionalità affettiva ed emotiva.
I soggetti affetti da disturbo narcisistico della personalità non sono in grado di provare tutta la gamma di sentimenti umani.
Quindi possono essere paragonati a dei robot.
Sono dotati di grande razionalità, lucidità mentale, freddezza anche dinanzi a situazioni di grande stress.
In cosa consiste la perversione mentale del narcisista perverso?
Il perverso non crede nella legge degli uomini, nella legge del diritto, non crede nel decalogo biblico.
Il perverso pensa che queste leggi siano false perchè pongono dei limiti.
Ad esempio non puoi godere di tua madre
Non puoi sapere o avere tutto.
Per il narcisista perverso tutto deve essere possibile e quindi la legge deve essere distrutta, infranta.
La formula che guida il comportamento del perverso è
“perchè non uccidere?”, “perchè non rubare?” “perchè non tradire?”
Per i perversi la fedeltà è solo una rinuncia priva di senso
Il perverso conosce solo il godimento e la spinta alla soddisfazione immediata degli impulsi.
L’unica vera legge del perverso è il godimento.
Per il perverso quella che noi chiamiamo virtù è vizio.
Secondo il perverso è giusto godere illimitatamente del proprio corpo e del corpo altrui
Da qui nasce la pedofilia
L’altruismo diventa una finzione, una menzogna
In questo senso per il perverso, l’amore per l’altro è una bestemmia.
Nei rapporti uomo-donna il perverso utilizza varie tecniche di manipolazione che gli consentono di asservire la vittima ai loro scopi.
la comunità di psicologi e psichiatri elenca diverse tecniche manipolative: si va dalle bugie patologiche, ai comportamenti ambivalenti (tecnica bastone e catota, doccia scozzese) le distorsioni comunicative, le triangolazioni, le svalutazioni.
Per sottomettere la vittima il narcisista perverso pone in essere un comportamento manipolativo che si snoda in tre fasi:
1) la prima fase del cosiddetto love bombing (bombardamento d’amore) in tale fase il partner narcisista perverso idealizza la vittima , la riempie di complimenti e di attenzioni al fine di carpirne fiducia e amore
2) la seconda fase si sostanzia nella svalutazione della partner al fine di sottometterla e renderla dipendente psicologicamente
3) la terza fase, quella dell’abbandono al fine di porre, sadicamente, la partner in uno stato di prostrazione, per poi a distanza di tempo ricontattarla in una serie di cicli che si ripetono.
E’ importante sottolineare che in questo modus operandi c’è una premeditazione, in quanto il perverso gode dell’infelicità altrui, a causa di questa forma patologica di sadismo mentale.
Il suo obiettivo è la distruzione psicologica della partner in quanto il narcisista perverso odia le donne.
E’ importante avere un’idea esatta di come il narcisista perverso attua la manipolazione e di come e perchè, nell’ipotesi in cui la vittima si ribelli il manipolatore perverso possa giungere al femminicidio.
Il femminicidio non è che l’ultimo atto di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico o fisico.
Una delle forme più subdole e pericolose di manipolazione è il gaslligting.
Il termine gas light deriva da un’opera teatrale del 1938, “gas light” (che significa letteralmente “luci a gas” ) , da cui è nata la versione cinematografica nel 1944, con l’interpretazione di Ingrid Bergam
Tale pellicola prende il nome di Angoscia in Italia.
Il tema centrale è il tentativo da parte del marito di far impazzire la moglie.
Egli vuole persuadere la moglie di essere pazza e per insinuare in lei questo sospetto, cambia la posizione di alcuni oggetti della casa.
Una volta che la moglie avrà notato tali cambiamenti insisterà sul fatto che la moglie si sia sbagliata.
inoltre il marito altera l’intensità della luce della lampada a gas per poi negarlo per indurre la moglie a credere di avere allucinazioni.
Lo scopo è quello di esercitare una forma di dominio sulla vittima.
Indurre la vittima a dubitare delle sue capacità di percezione della realtà e quindi assumere il pieno controllo della sua vita.
Molto spesso il manipolatore narcisista perverso raggiunge l’obiettivo isolano la vittima o inducendola all’auto-isolamento.
Una cosa importante da sottolineare è che le condotte manipolative vengono poste in essere in maniera ripetitiva, costante, contemporaneamente ed in alternanza tra loro.
E’ questo aspetto che bisogna sottolineare per comprendere l’idoneità delle condotte a raggiungere l’obiettivo della destabilizzazione della vittima.
Il narcisista perverso ( o la narcisista) utilizzerà il gaslighting, insieme alle distorsioni comunicative, alle menzogne patologiche, alle triangolazioni e così via.
Realizzando così un contesto surreale di comportamenti contraddittori ed ambivalenti che, ovviamente, mettono la vittima in uno stato di confusione mentale.
Nei casi in cui la manipolazione è efficace, ossia il narcisista perverso raggiunge il suo obiettivo di distruzione psichica della vittima e di totale controllo su di lei, egli NON ha bisogno di porre in essere il femminicidio perchè il suo scopo è quello di godere della sofferenza dell’altro, lasciandolo vivere, ma con l’angoscia nel cuore.
Nei casi invece in cui la manipolazione non riesce oppure la vittima tenta di fuggire dal controllo, dominio del suo carnefice i rischi di femminicidio solo reali e concreti.
Qualora la vittima riesca a superare la dipendenza psicologica e la confusione mentale indotta, diventa spesso bersaglio di stalking.
Lo stalking è un tentativo di ricattura della preda ad opera del manipolatore perverso.
Il narcisista perverso non può accettare che la preda, considerata un oggetto di sua proprietà, si allontani se non è stato lui a deciderlo.
Ragion per cui tenta una forma di manipolazione più palese, ossia tenta la ricattura attraverso atti persecutori diretti all’indirizzo della vittima che si sostanziano in minacce, pedinamenti, molestie allo scopo di ricondurre la preda sotto il controllo del manipolatore.
Se la ricattura attraverso lo stalking non dà i risultati che il manipolatore si aspetta si scatena la cosiddetta rabbia narcisistica che spesso conduce il manipolatore a compiere il tanto odiato femminicidio.
E in alcuni casi, ancora più perversi, ad uccidere la prole ed uccidere sè stesso, lasciando la partner in uno stato di angoscia che è proprio l’obiettivo del perverso: punire la vittima per aver tentato la fuga e quindi aver tentato di sottrarsi al suo controllo.
(Avvocato Rosa Petruccelli)
di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

Narcisismo patologico e dipendenza affettiva, i sei punti chiave da tenere a mente (Avv. Rosa Petruccelli)

L’obiettivo del convegno è quello di verificare lo stato dell’arte psichiatrica e giuridica, riguardo ad un fenomeno molto diffuso: il narcisismo patologico e la dipendenza affettiva.

L’approccio all’argomento non può che avere carattere interdisciplinare, in quanto ai fini di una efficace tutela giuridica, è necessario circoscrivere il fenomeno da un punto di vista psichiatrico.

Leggi anche: Il convegno

Introdurrò l’argomento individuando quelli che, a mio parere, sono i sei punti chiave da prendere in considerazione per un corretto inquadramento della fattispecie, per poi andare a verificare se la normativa vigente e, soprattutto, il reato di stalking sia strumento giuridico duttile ed idoneo alla tutela legale della vittima, vessata da condotte che, come vedremo, sono vere e proprie torture psicologiche.
Narcisismo patologico e dipendenza affettiva
Partirò dal titolo del convegno “Narcisismo patologico e dipendenza affettiva: profili giuridici e psicologici della manipolazione mentale”.

Ho riflettuto a lungo sull’aggettivo da utilizzare, per qualificare il termine “narcisismo”.

L’alternativa era tra “perverso” e “patologico”.

Da un punto di vista sostanziale, l’aggettivo più appropriato sarebbe stato “perverso”: narcisismo perverso”. In quanto il nucleo di tale disturbo della personalità è una sorta di crudeltà, di sadismo mentale.

Alla fine ho scelto il termine “patologico”: “narcisismo patologico”, per porre l’accento sulla particolare categoria di narcisismo di cui andiamo a parlare.

Il narcisismo, infatti, si snoda lungo una linea ideale, che va da un narcisismo sano, che è autostima, ad un narcisismo eccessivo, che si sostanzia in un disturbo della personalità.

Il disturbo narcisistico di personalità è un disturbo descritto nel DSM V che è uno dei manuali diagnostici delle malattie mentali, maggiormente consultato e maggiormente accreditato dalla comunità scientifica.

Molto importante è anche la precisazione contenuta nel sottotitolo del convegno “Profili giuridici e psicologici della manipolazione mentale”.

Perché è così importante?

Perché, a mio parere, per impostare correttamente la problematica della tutela giuridica della vittima del narcisismo perverso dobbiamo focalizzare l’attenzione sulla particolare tipologia di condotta, tipica del narcisista perverso.

Egli infatti si relaziona con gli altri, esclusivamente, mediante condotte manipolatorie.

Si tratta di una particolare forma di manipolazione mentale, che possiamo definire relazionale, una manipolazione, cioè, attuata nell’ambito di relazioni emotivamente caratterizzate.

Pensiamo ai rapporti tra coniugi, ai rapporti tra conviventi, tra genitori e figli o semplicemente tra amici.
Manipolazione relazionale
La manipolazione relazionale, costituisce, il nucleo da cui ha origine la dipendenza psicologica della vittima.

Dunque, noi abbiamo la dipendenza affettiva come conseguenza della manipolazione relazionale.

Parliamo di dipendenza affettiva perché, ci muoviamo, come ho già precisato, nell’ambito delle relazioni emotivamente caratterizzate.

Quest’aspetto è particolarmente importante per comprendere le peculiarità sia della manipolazione sia della dipendenza affettiva.

Da un lato abbiamo il manipolatore perverso, il quale costruisce ad arte ed in maniera fittizia rapporti di stima, di amicizia, di amore, per scopi personali ed opportunistici, dall’altro la vittima che, al contrario, quei sentimenti di stima, di affetto, di amicizia li prova realmente.

Questo duplice aspetto gioca un ruolo determinante per la caduta della vittima nell’abisso della dipendenza affettiva.
Dipendenza affettiva
Ed è proprio la dipendenza affettiva, connessa e conseguente alla manipolazione mentale che ci consente, spesso, di comprendere il motivo per cui, le vittime, pur subendo violenze fisiche e psicologiche notevoli non si ribellano e non abbandonano i partners violenti.

Inoltre la caratterizzazione “affettiva” del fenomeno manipolatorio ci consente di “intuire” a gravità del danno psicologico che la vittima subisce, tanto che, riguardo alle vittime del narcisismo perverso, la comunità scientifica parla di “disturbo post-traumatico da stress”.
L’identikit
Chi è, dunque, il soggetto affetto da disturbo narcisistico di personalità?

Può essere un uomo o una donna, ma in prevalenza sono uomini.

Il disturbo in oggetto rientra tra quelli che non comportano l’incapacità di intendere e di volere penalisticamente intesa, in quanto il disturbo non incide, negativamente, sulle capacità intellettive e cognitive dell’individuo.

La patologia risiede in una sorta di disfunzionalità affettiva ed emotiva.

Un famoso psichiatra americano, Cleckey, parla del narcisismo come di egocentrismo patologico ed incapacità di amare.

Robert Hare altro psichiatra americano, esperto di narcisismo, afferma che il soggetto affetto da tale disturbo, non è in grado di provare sentimenti umani, amore disinteressato, rimorso o senso di colpa.

Prova soltanto proto e mozioni.

Da un punto di vista mentale il narcisista perverso è sano.

Non presenta disturbi di ansia o altre manifestazioni psico-nevrotiche.

Anzi, al contrario mostra freddezza anche dinanzi a situazioni di forte stress.

E’ importante sottolineare come ci insegna lo psichiatra Robert Hare, che si tratta di un disturbo della personalità non curabile.

La terapia, quindi, non cambierà il carattere dei narcisisti perversi, perché essi si piacciono come sono, dentro e fuori, indipendentemente da quello che pensano gli altri.

Per tale motivo è necessario predisporre strumenti giuridici di carattere penale ed extrapenale a tutela della vittima dei narcisisti perversi.

Quali sono le tecniche manipolative usate dal narcisista patologico. La comunità degli psicologi e psichiatri ne elenca diverse: si va dalle bugie patologiche ai comportamenti ambivalenti, dalle distorsioni comunicative alle triangolazioni, dalla idealizzazione alla svalutazione.

Io accennerò soltanto ad una tecnica manipolativa, particolarmente subdola che gli psicologi americani chiamano gaslighiting.
Gaslighiting
Un termine che trae origine dal titolo di un film di un regista americano Gaslighiting, tradotto in italiano con il titolo “Angoscia”.

Narra la storia di un marito, il quale tenta di far impazzire la moglie, utilizzando varie tecniche manipolative e, in particolare, via alternado l’intensità della luce delle lampade a gas per poi negare l’avvenimento per indurre la moglie a credersi pazza.

Il gaslighting è una tecnica utilizzata dai narcisisti perversi per destabilizzare la vittima, per lederne l’autostima, e l’integrità psichica.

A quale scopo?

Allo scopo di esercitare una forma di controllo e di dominio sulla vittima.

A causa della manipolazione subita, la vittima è indotta a dubitare delle sue capacità di percezione della realtà.

Molto spesso il narcisista perverso raggiunge l’obiettivo isolando la vittima, o inducendola all’autoisolamento, insinuando dubbi sulla sua sanità mentale.

Scopo del gaslighiting e, dunque, destrutturare la personalità preesistente della vittima, caratterizzata da autonomia ed indipendenza, e sostituirla con un’altra personalità di tipo dipendente, mansueto, infantile, controllabile.

Quindi noi abbiamo una tipologia di dipendenza psicologica ed affettiva che non è preesistente, NON è espressione di una patologia o di un disturbo psicologico della vittima preesistente alla manipolazione

NO!

La dipendenza è una conseguenza del gaslighting, agito sulla vittima dal manipolatore perverso.

Ovviamente, nel momento in cui la manipolazione produce i suoi effetti la vittima non si rende conto dell’abuso psicologico che sta subendo.

Viceversa, sono i familiari che, semmai, si accorgono del cambiamento repentino della personalità del familiare, abusato dal narcisista perverso.

Ultimo punto da approfondire è, come possiamo distinguere le manipolazioni rilevanti da quelli che sono, invece, i condizionamenti fisiologici.
I caratteri della manipolazione
Ci sono tre caratteri che circoscrivono la manipolazione perversa e, quindi, penalmente rilevante, ossia.

1) La vessatorietà;

2) La fraudolenza

3) La ripetitività

La vessatorietà= Lo scopo del narcisista perverso è sottomettere la preda e, quindi, sottoporla al proprio dominio per il raggiungimento dei propri interessi: che possono essere economici, sessuali, o di puro divertimento o di puro sadismo mentale.

La fraudolenza= L’abusante narcisista utilizza giochi mentali, trucchi, inganni, distorsioni, proiezioni

Ripetitività= Un singolo comportamento vessatorio e fraudolento, in sé e per sé, non è in grado di produrre danni psicologici, ma il protrarsi nel tempo di condotte fraudolente e vessatorie, ripetute, consente al manipolatore perverso di raggiungere il risultato: ossia la lesione dell’integrità psichica della vittima.
Il plagio
Quindi in sostanza il perverso pone in essere condotte plagiarie.

Il codice Rocco del 1930 prevedeva il reato di plagio.

Reato che, com’è noto, fu dichiarato illegittimo, dalla Corte Costituzionale con una sentenza del 1986 e quindi abrogato.

L’eliminazione del reato di plagio dall’ordinamento penale ha creato un vuoto normativo.

Sono stati presentati diversi disegni di legge dal 2001 volti a reintrodurre il reato di manipolazione mentale, tentativi naufragati.

Un timido passo in avanti nella direzione della tutela dalla violenza psicologica si è fatto con l’introduzione del reato di stalking, ma in realtà, la fattispecie penale dello stalking non è in grado di contenere, al suo interno, le condotte manipolative poste in essere dal soggetto disturbato.

Infatti il reato di stalking mira a reprimere gli atti persecutori che si sostanziano in minacce e molestie intrusive della sfera altrui (pensiamo alle telefonate indesiderate, sms ossessivi, pedinamenti etc.)

Il gaslighting, invece, come abbiamo detto, è una condotta subdola e sottile che ha come scopo la destabilizzazione della personalità della vittima, ma NON attraverso atti persecutori, quanto piuttosto comportamenti ambivalenti, sottilmente sadici, mediante artifizi e raggiri, inganni anche comunicativi.

Dunque una sottile, pericolosa violenza psicologica che mira a ledere, modificare l’identità personale.

Il gaslighting è, dunque, una condotta di manipolazione relazionale che, meriterebbe, un’apposita figura delittuosa.

Se effettivamente si vuole raggiunger l’obiettivo di ridurre, drasticamente il numero dei femminicidi, bisogna anticipare la soglia di tutela penale, sanzionando i comportamenti manipolatori che, sono spesso, l’anticamera del femminicidio.

Avv. Rosa Petruccelli

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di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

FEMMINICIDIO E NARCISISMO PATOLOGICO

Femminicidio e narcisismo (Avv. Rosa Petruccelli)

Qual è il legame sussistente tra femminicidio e narcisismo?

Prima di inoltrarci nella individuazione del tipo di connessione di cui al quesito, cerchiamo di illustrare in maniera comprensibile a tutti, cosa si intende con il termine narcisismo.

Il narcisismo è un concetto tipicamente psicologico che, però, alcuni studiosi hanno preso in considerazione anche sotto il punto di vista culturale e sociologico.

In particolare un sociologo, Vincenzo Cesareo parla a proposito della società contemporanea come dell’era del narcisismo, per indicare l’elevato numero di soggetti con identità narcisistica, cioè in possesso di tratti narcisistici.

Seguendo le distinzioni operate dal sociologo Vincenzo Cesareo, possiamo distinguere tre tipi di narcisismo. Ciò in quanto il fenomeno del narcisismo si snoda lungo un continuum. Cioè si parte da un narcisismo sano o fisiologico, passando per delle forme intermedie fino a giungere ad un narcisismo patologico e, quindi, ad un vero e proprio disturbo della personalità.

Quindi noi abbiamo un narcisismo sano, fisiologico che è, essenzialmente autostima. A questa categoria può essere ricondotto il cosiddetto narcisismo infantile che la psicoanalisi inquadra come fase necessaria nel processo di costruzione della personalità.

Una seconda tipologia di narcisismo, definito dal sociologo Vincenzo Cesareo narcisismo minimalista; intendendosi con tale termine quella deriva soggettiva dell’essere umano che chiude la persona nella propria auto-referenzialità, privandola di conseguenza della capacità di costruire relazioni fondate sull’autentico riconoscimento dell’altro e, privandola della capacità di pensare ed agire in un’ottica progettuale. In tale contesto i rapporti con gli altri sono solo illusori e, se esistenti, strumentali ai propri interessi.

Il narcisismo minimalista è la forma intermedia di narcisismo, quella cioè che si pone tra la forma di narcisismo sano e la forma di narcisismo patologico.

Le persone con tratti narcisistici non hanno un vero e proprio disturbo narcisistico di personalità, ossia una vera e propria patologia, ma i tratti narcisistici, sia pure in misura quantitativamente inferiore, si sostanziano, pur sempre, nel medesimo deficiti di empatia che, vedremo, caratterizzare lo stesso disturbo narcisistico di personalità.

Ed infine la terza tipologia di narcisismo, quello patologico, che si sostanzia in psico-patologia e, quindi, in una forma di perversione mentale, caratterizzata da tendenze distruttive, sadismo mentale, incapacità di provare sentimenti, rimorso, senso di colpa, pietas umana.

Il disturbo narcisistico di personalità è descritto nel DSM V che è il manuale diagnostico delle malattie mentali maggiormente utilizzato da psichiatri e psicologi.

Ma attenzione il disturbo narcisistico di personalità non si sostanzia in una forma di follia o pazzia.

Il soggetto affetto da disturbo narcisistico della personalità è un soggetto in possesso delle piene capacità mentali; dunque capace di intendere e di volere.

La patologia risiede altrove, ossia nella sfera affettiva e morale.

Famosi psichiatri, tra cui Clecky e Hare parlano, a proposito di questi soggetti disturbati di egocentrismo estremo, incapacità di amare, incapacità di provare sentimenti umani.

Il modus operandi dei soggetti affetti da disturbo narcisistico della personalità è la manipolazione.

Essi si rapportano agli altri in termini strumentali, ponendo in essere condotte manipolatorie. Perchè?

In buona sostanza perchè nel soggetto disturbato il processo di costruzione della personalità non ha avuto una normale evoluzione.

Esso rimane immerso in un narcisismo infantile che non gli consente di rivolgere energia e attenzione verso gli altri. Tutta l’energia e l’attenzione è rivolta verso se stessi. Per cui l’altro, per il narcisista (o la narcisista) non esiste se non come estensione di se stesso o come specchio nel quale riflettersi. Nella forma estrema di narcisismo (cosiddetto narcisismo maligno) il problema si pone in termini di aggressività e di sadismo mentale, nonchè nell’incapacità di vedere l’altro/a come una persona; l’altro deve essere uno strumento nelle mani del narcisista o della narcisista, un oggetto da utilizzare a proprio piacimento.

Secondo il neuro-psichiatra Onnis il disturbo narcisistico di personalità occupa in Italia il quarto posto, subito dopo la depressione, la bulimia, l’anoressia, ma a prescindere da ciò i soggetti che presentano tratti narcisistici e, quindi, in buona sostanza, incapacità di relazionarsi agli altri sono tantissimi.

Per questo motivo il sociologo Vincenzo Cesareo parla di era del narcisismo.

Ciò ci consente di ipotizzare che il disturbo narcisistico di personalità sia in qualche modo correlato anche ad un fattore culturale oltre che psico-affettivo.

Questa diffusione notevole del narcisismo, nella forma intermedia e in quella patologica, non può non innestare conseguenze nefaste nei rapporti sentimentali uomo-donna, tra i quali, sempre più spesso si snodano relazioni non equilibrate; caratterizzate da approcci disfunzionali, che non si concretano però in vere e proprie malattie mentali, intese nel senso di lesioni organiche, quanto piuttosto in disturbi della personalità.

Il narcisista perverso, dunque, si approccia alla partner con modalità manipolatorie, in quanto il disturbo della personalità, da un lato lo induce ad esercitare un potere ed un controllo sulla partner, dall’altro a temere e rifuggire i vincoli e legami affettivi, vissuti come castranti.

In questa dinamica il narcisista perverso vede la partner come una preda da sottomettere e pone in essere un comportamento manipolatorio che si snoda in tre fasi:

  1. la fase del cosiddetto love bombing, in tale fase la partner è idealizzata al fine di conquistarne fiducia e amore.
  2. La seconda fase si sostanzia nella svalutazione della partner al fine di sottometterla e renderla dipendente psicologicamente
  3. La terza fase, quella dell’abbandono, al fine di porre la partner in uno stato di prostrazione, per poi ricontattarla, in una serie di cicli che si ripetono.

E’  importante avere una idea esatta di come il narcisista perverso attua la manipolazione e di come e perchè, nell’ipotesi in cui la vittima si ribelli, il manipolatore può giungere al femminicidio.

La fase di svalutazione, la seconda fase posta in essere dal narcisista perverso può assumere la forma del gaslighting, una particolare forma di manipolazione relazionale.

Cos’è il gaslighting?

Il gaslighting è inquadrabile in una forma di violenza psicologica, in una condotta manipolatoria.

Il gaslighter si caratterizza per la capacità di fingere (mendacità patologica).

Considera la mendacità come arma da usar, costantemente, al fine di destabilizzare il partner vissuto come avversario.

Il gaslighter finge sentimenti che non prova (essendo incapace di provarne per disfunzionalità patologica della sfera affettiva) ed attua nei confronti della partner una vera e propria distorsione della realtà.

Per confondere la sua vittima inizia, solitamente, a ricordarle di aver detto qualcosa, in passato, che in realtà non ha mai detto. A tal fine descrive una circostanza realmente accaduta, ma inserendovi un dato menzognero, secondo i parametri della sua mente perversa. Cosicchè la vittima comincia a dubitare delle proprie capacità mnemoniche e mentali. Il dubbio sulla propria capacità di percepire la realtà rende la vittima insicura e la pone in uno stato di confusione mentale e depressivo.

Le persone empatiche rischiano di cadere nella trappola della dipendenza e della dedizione assoluta. Il manipolatore perverso raggiunge l’obiettivo attraverso le leve della paura e del senso di colpa instillato nella vittima.

Il processo di manipolazione, oltre ad attuarsi attraverso la distorsione della realtà, avviene anche per mezzo di condotte manipolatorie che investono la comunicazione. Distorsioni comunicative, realizzate con modalità comunicative paradossali, surreali, contraddittorie ed ambivalenti.

Il black out delle informazioni reali è necessario per destabilizzare la vittima.

Il gaslighting, sebbene sia riconosciuto come reato appartenente all’area criminologica, non è riconosciuto, in ambito giurisprudenziale, come fattispecie di reato.

La vittima che subisce il gaslighting e, quindi, la manipolazione se prova a ribellarsi, superando lo stato di confusione in lei prodotto, diviene spesso bersaglio di stalking.

Lo stalking è un tentativo di ricattura della preda da parte del manipolatore perverso, laddove la vittima, prima annichilita, si riprende e tenta la fuga.

Il narcisista perverso non può accettare che la preda, considerata un oggetto di sua proprietà, si allontani, se non è stato lui stesso a deciderlo. Ragion per cui tenta la ricattura attraverso atti persecutori diretti all’indirizzo della vittima, che si sostanziano in minacce, pedinamenti, molestie, allo scopo di ricondurre la preda sotto il controllo del manipolatore.

Se la ricattura, attraverso lo stalking, non dà i risultati che il manipolatore si aspetta, sale la cosiddetta rabbia narcisistica che, spesso, conduce il manipolatore a compiere il tanto odiato femmincidio o, addirittura a sopprimere la prole, se non a tentare o compiere il suicidio.

Tra l’altro, anche in assenza dell’esito fatale, sia il gaslighting che lo stalking creano danni molto gravi a livello psicologico, sino a configurare una ipotesi di sintomatologia analoga ad un disturbo post traumatico da stress.

Invero la lesione dell’identità personale, costituisce un trauma idoneo a determinare una frammentazione dell’identità che ben può assurgere a misura patologica.

Avvocata Rosa Petruccelli, studiosa del fenomeno del narcisismo ed ideatrice del progetto legislativo volto all’ introduzione della fattispecie del reato di manipolazione relazionale, nell’ambito del Progetto Al di là dell’amore,  della Fabbrica del Pensiero Creativo.

 

di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

Bruno Contrada: la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sul concorso esterno in associazione mafiosa

La Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, con la sentenza 14 aprile 2015 Causa Contrada c. Italia ha sanzionato l’Italia per la condanna inflitta a Bruno Contrada per concorso esterno in associazione mafiosa.

Secondo i giudici di Strasburgo, Bruno Contrada non doveva essere condannato perché all’epoca dei fatti (1979 -1988), il reato non era “sufficientemente chiaro e il ricorrente non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per  la responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti”.

Contrada si era rivolto alla Corte Europea dei diritti dell’uomo nel luglio del 2008 affermando che – in base all’art. 7 della CEDU, che stabilisce il principio “nulla poena sine lege” – non avrebbe dovuto essere condannato perchè “il reato di concorso esterno  in associazione di stampo mafioso è il risultato della evoluzione della giurisprudenza italiana posteriore all’epoca in cui avrebbe commesso i fatti per cui è stato condannato”.

I giudici di Strasburgo hanno così accolto le tesi della difesa, affermando che i giudici nazionali, nel condannare Contrada, non hanno rispettato i principi di “non retroattività e di prevedibilità della legge penale”, ritenendo che all’epoca dei fatti contestati, il reato non era stato sufficientemente chiaro e quindi prevedibile dall’imputato.

Nella sentenza si afferma che: ” il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di una evoluzione della giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni ’80 e consolidatasi nel 1994 e quindi la legge non era sufficientemente chiara e prevedibile per Bruno Contrada nel momento in cui avrebbe commesso i fatti contestatigli”.

La Corte ha sostenuto che “si può considerare “legge” solo una norma enunciata con una precisione tale da permettere al cittadino di regolare la propria condotta”.

La norma deve essere dunque determinata e chiara, con la conseguenza che una giurisprudenza complessa e contrastante, come quella in materia di concorso esterno tra gli anni ’80 e ’90 non avrebbe permesso al ricorrente di comprendere con chiarezza i fatti contestati e prevederne la relativa sanzione.

Il principio di legalità così come espresso dalla Corte Europa dei diritti dell’uomo fa rientrare nella nozione di diritto (“law”) sia quello di origine legislativa che giurisprudenziale.

Si ritiene che per quanto possa essere chiaro il testo legislativo, in qualsiasi sistema giuridico, compreso il diritto penale, esiste un elemento di interpretazione giudiziaria, considerato che è inevitabile un’attività di chiarimento dei punti oscuri e di adattamento alla fattispecie concreta.

E’ costantemente affermato nella tradizione giuridica degli Stati -parte della Convenzione Europea per i diritti umani che la giurisprudenza in quanto fonte di diritto, contribuisce necessariamente all’evoluzione progressiva del diritto penale.

Con buona pace del principio della triplice  ripartizione dei poteri di montesquiana memoria !!!

Avvocata Rosa Petruccelli del Foro di Perugia

 

di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

Le norme che disciplinano l’interpretazione del contratto (Avv. Rosa Petruccelli)

Il contratto si concretizza in segni, espressioni, termini, locuzioni con le quali le parti manifestano la volontà di regolare in un certo qual modo un certo qual rapporto giuridico.

Il contratto si sostanzia, dunque, in una dichiarazione scritta che dovrebbe avere la capacità di tradurre l’intenzione delle parti e, quindi, di concretizzare quello che è un elemento psichico, interiore.

Non sempre i termini, le espressioni, le locuzioni, ciò che potremmo definire il tenore letterale del contratto è sufficientemente univoco, al punto da svelare, senza ombra di dubbio, quale fosse stata la reale volontà delle parti.

Come fare, dunque, per ricostruire quell’elemento interiore, psichico che determinò le parti a concludere quell’accordo e non un altro?

Orbene, l’operazione ermeneutica è disciplinata dalle norme contenute nel Capo IV, intitolato all’interpretazione del contratto (gli articoli dal 1362 al 1371 del codice civile).

Si tratta di norme cogenti, la cui violazione può essere censurata in sede di legittimità (Cass. civ. sentenza 15 luglio 2016 n. 14.432).

L’articolo 1362 del codice civile rubricato “Intenzione dei contraenti” recita: “nell’interpretare il contratto, si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole; il capoverso continua dicendo “per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto”.

L’articolo 1362 del codice civile pone una importantissima regola. Quella secondo cui, nell’interpretare il contratto, il tenore letterale di esso non riveste un ruolo nè decisivo, nè prioritario.

Infatti l’interpretazione deve tendere all’individuazione della comune intenzione delle parti (Cass. civ. sentenza 03 giugno – 9 dicembre 2014 n. 25840).

Ciò perchè il legislatore è ben consapevole del fatto che, da un lato, le espressioni contenute nel contratto possono non avere un significato univoco, nel raffronto tra le diverse clausole del contratto e/o anche nel significato dei singoli termini utilizzati, dall’altro, è evidente che se il comportamento delle parti depone per l’individuazione di un significato diverso da quello che emergerebbe prima facie dalla lettura testuale del contratto, dovrà essere il primo a prevalere.

In sostanza ciò che rileva ai fini interpretativi è la ragione pratica che ha indotto le parti a stipulare quel determinato tipo di contratto.

L’articolo 1363 del codice civile rubricato “interpretazione complessiva delle clausole” recita “le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.

Orbene l’articolo 1363 del codice civile pone una seconda, importantissima regola, fondamentale per individuare la comune intenzione delle parti.

Quella secondo cui, nell’interpretazione del contratto non ci si può esimere dall’effettuare un’analisi logico-deduttiva del contenuto di ciascuna delle singole clausole contrattuali connesse tra loro.

Ciò vuol dire che, seppure da una singola clausola, presa singolarmente possa desumersi un determinato intento delle parti, ciò non sarebbe sufficiente a ritenere che quella sia stata la reale intenzione delle parti, in quanto le espressioni utilizzate in quella singola clausola debbono, obbligatoriamente, ex art. 1363 del codice civile essere raffrontate al contenuto di tutte le altre clausola contrattuali (cfr. Cass. civ. 22 Ottobre 2014, n. 22343)

Invero ben potrebbe essere che una lettura complessiva delle clausole possa portare all’individuazione di una diversa e concreta volontà rispetto a quella che emergerebbe dalle singole clausole atomisticamente intese.

Una terza regola fondamentale di interpretazione del contratto è quella contenuta nell’articolo 1366 del codice civile, ossia quella secondo cui il contratto deve essere interpretato secondo buona fede, ossia secondo un criterio di ragionevolezza, anche in considerazione dell’id quod plerumque accidit

Preme sottolineare, altresì, l’importanza ai fini interpretativi, della regola contenuta nell’art. 1369 del codice civile, norma che fa riferimento alla natura e all’oggetto del contratto e, quindi, alla causa del contratto (cfr. Cass. civ. 22 ottobre2014, n. 22343).

Le regole disciplinate negli articoli da 1362 a 1370 del codice civile concorrono, nel loro insieme, a tentare di individuare quell’elemento psichico in cui si sostanzia la comunq intenzione delle parti.

Se l’insieme di tali norme non dovesse essere sufficiente a svelare quella che fu la probabile volontà delle parti espressa in quel determinato contratto, soccorre la regola finale contenuta nell’articolo 1371 del codice civile secondo cui “qualora, nonostante l’applicazione delle norme contenute in quest o capo, il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato se è a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso”

Avvocata Rosa Petruccelli

di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

Femminicidio e narcisismo (Avv. Rosa Petruccelli)

Qual è il legame sussistente tra femminicidio e narcisismo?

Prima di inoltrarci nella individuazione del tipo di connessione di cui al quesito, cerchiamo di illustrare in maniera comprensibile a tutti, cosa si intende con il termine narcisismo.

Il narcisismo è un concetto tipicamente psicologico che, però, alcuni studiosi hanno preso in considerazione anche sotto il punto di vista culturale e sociologico.

In particolare un sociologo, Vincenzo Cesareo parla a proposito della società contemporanea come dell’era del narcisismo, per indicare l’elevato numero di soggetti con identità narcisistica, cioè in possesso di tratti narcisistici.

Seguendo le distinzioni operate dal sociologo Vincenzo Cesareo, possiamo distinguere tre tipi di narcisismo. Ciò in quanto il fenomeno del narcisismo si snoda lungo un continuum. Cioè si parte da un narcisismo sano o fisiologico, passando per delle forme intermedie fino a giungere ad un narcisismo patologico e, quindi, ad un vero e proprio disturbo della personalità.

Quindi noi abbiamo un narcisismo sano, fisiologico che è, essenzialmente autostima. A questa categoria può essere ricondotto il cosiddetto narcisismo infantile che la psicoanalisi inquadra come fase necessaria nel processo di costruzione della personalità.

Una seconda tipologia di narcisismo, definito dal sociologo Vincenzo Cesareo narcisismo minimalista; intendendosi con tale termine quella deriva soggettiva dell’essere umano che chiude la persona nella propria auto-referenzialità, privandola di conseguenza della capacità di costruire relazioni fondate sull’autentico riconoscimento dell’altro e, privandola della capacità di pensare ed agire in un’ottica progettuale. In tale contesto i rapporti con gli altri sono solo illusori e, se esistenti, strumentali ai propri interessi.

Il narcisismo minimalista è la forma intermedia di narcisismo, quella cioè che si pone tra la forma di narcisismo sano e la forma di narcisismo patologico.

Le persone con tratti narcisistici non hanno un vero e proprio disturbo narcisistico di personalità, ossia una vera e propria patologia, ma i tratti narcisistici, sia pure in misura quantitativamente inferiore, si sostanziano, pur sempre, nel medesimo deficiti di empatia che, vedremo, caratterizzare lo stesso disturbo narcisistico di personalità.

Ed infine la terza tipologia di narcisismo, quello patologico, che si sostanzia in psico-patologia e, quindi, in una forma di perversione mentale, caratterizzata da tendenze distruttive, sadismo mentale, incapacità di provare sentimenti, rimorso, senso di colpa, pietas umana.

Il disturbo narcisistico di personalità è descritto nel DSM V che è il manuale diagnostico delle malattie mentali maggiormente utilizzato da psichiatri e psicologi.

Ma attenzione il disturbo narcisistico di personalità non si sostanzia in una forma di follia o pazzia.

Il soggetto affetto da disturbo narcisistico della personalità è un soggetto in possesso delle piene capacità mentali; dunque capace di intendere e di volere.

La patologia risiede altrove, ossia nella sfera affettiva e morale.

Famosi psichiatri, tra cui Clecky e Hare parlano, a proposito di questi soggetti disturbati di egocentrismo estremo, incapacità di amare, incapacità di provare sentimenti umani.

Il modus operandi dei soggetti affetti da disturbo narcisistico della personalità è la manipolazione.

Essi si rapportano agli altri in termini strumentali, ponendo in essere condotte manipolatorie. Perchè?

In buona sostanza perchè nel soggetto disturbato il processo di costruzione della personalità non ha avuto una normale evoluzione.

Esso rimane immerso in un narcisismo infantile che non gli consente di rivolgere energia e attenzione verso gli altri. Tutta l’energia e l’attenzione è rivolta verso se stessi. Per cui l’altro, per il narcisista (o la narcisista) non esiste se non come estensione di se stesso o come specchio nel quale riflettersi. Nella forma estrema di narcisismo (cosiddetto narcisismo maligno) il problema si pone in termini di aggressività e di sadismo mentale, nonchè nell’incapacità di vedere l’altro/a come una persona; l’altro deve essere uno strumento nelle mani del narcisista o della narcisista, un oggetto da utilizzare a proprio piacimento.

Secondo il neuro-psichiatra Onnis il disturbo narcisistico di personalità occupa in Italia il quarto posto, subito dopo la depressione, la bulimia, l’anoressia, ma a prescindere da ciò i soggetti che presentano tratti narcisistici e, quindi, in buona sostanza, incapacità di relazionarsi agli altri sono tantissimi.

Per questo motivo il sociologo Vincenzo Cesareo parla di era del narcisismo.

Ciò ci consente di ipotizzare che il disturbo narcisistico di personalità sia in qualche modo correlato anche ad un fattore culturale oltre che psico-affettivo.

Questa diffusione notevole del narcisismo, nella forma intermedia e in quella patologica, non può non innestare conseguenze nefaste nei rapporti sentimentali uomo-donna, tra i quali, sempre più spesso si snodano relazioni non equilibrate; caratterizzate da approcci disfunzionali, che non si concretano però in vere e proprie malattie mentali, intese nel senso di lesioni organiche, quanto piuttosto in disturbi della personalità.

Il narcisista perverso, dunque, si approccia alla partner con modalità manipolatorie, in quanto il disturbo della personalità, da un lato lo induce ad esercitare un potere ed un controllo sulla partner, dall’altro a temere e rifuggire i vincoli e legami affettivi, vissuti come castranti.

In questa dinamica il narcisista perverso vede la partner come una preda da sottomettere e pone in essere un comportamento manipolatorio che si snoda in tre fasi:

  1. la fase del cosiddetto love bombing, in tale fase la partner è idealizzata al fine di conquistarne fiducia e amore.
  2. La seconda fase si sostanzia nella svalutazione della partner al fine di sottometterla e renderla dipendente psicologicamente
  3. La terza fase, quella dell’abbandono, al fine di porre la partner in uno stato di prostrazione, per poi ricontattarla, in una serie di cicli che si ripetono.

E’  importante avere una idea esatta di come il narcisista perverso attua la manipolazione e di come e perchè, nell’ipotesi in cui la vittima si ribelli, il manipolatore può giungere al femminicidio.

La fase di svalutazione, la seconda fase posta in essere dal narcisista perverso può assumere la forma del gaslighting, una particolare forma di manipolazione relazionale.

Cos’è il gaslighting?

Il gaslighting è inquadrabile in una forma di violenza psicologica, in una condotta manipolatoria.

Il gaslighter si caratterizza per la capacità di fingere (mendacità patologica).

Considera la mendacità come arma da usar, costantemente, al fine di destabilizzare il partner vissuto come avversario.

Il gaslighter finge sentimenti che non prova (essendo incapace di provarne per disfunzionalità patologica della sfera affettiva) ed attua nei confronti della partner una vera e propria distorsione della realtà.

Per confondere la sua vittima inizia, solitamente, a ricordarle di aver detto qualcosa, in passato, che in realtà non ha mai detto. A tal fine descrive una circostanza realmente accaduta, ma inserendovi un dato menzognero, secondo i parametri della sua mente perversa. Cosicchè la vittima comincia a dubitare delle proprie capacità mnemoniche e mentali. Il dubbio sulla propria capacità di percepire la realtà rende la vittima insicura e la pone in uno stato di confusione mentale e depressivo.

Le persone empatiche rischiano di cadere nella trappola della dipendenza e della dedizione assoluta. Il manipolatore perverso raggiunge l’obiettivo attraverso le leve della paura e del senso di colpa instillato nella vittima.

Il processo di manipolazione, oltre ad attuarsi attraverso la distorsione della realtà, avviene anche per mezzo di condotte manipolatorie che investono la comunicazione. Distorsioni comunicative, realizzate con modalità comunicative paradossali, surreali, contraddittorie ed ambivalenti.

Il black out delle informazioni reali è necessario per destabilizzare la vittima.

Il gaslighting, sebbene sia riconosciuto come reato appartenente all’area criminologica, non è riconosciuto, in ambito giurisprudenziale, come fattispecie di reato.

La vittima che subisce il gaslighting e, quindi, la manipolazione se prova a ribellarsi, superando lo stato di confusione in lei prodotto, diviene spesso bersaglio di stalking.

Lo stalking è un tentativo di ricattura della preda da parte del manipolatore perverso, laddove la vittima, prima annichilita, si riprende e tenta la fuga.

Il narcisista perverso non può accettare che la preda, considerata un oggetto di sua proprietà, si allontani, se non è stato lui stesso a deciderlo. Ragion per cui tenta la ricattura attraverso atti persecutori diretti all’indirizzo della vittima, che si sostanziano in minacce, pedinamenti, molestie, allo scopo di ricondurre la preda sotto il controllo del manipolatore.

Se la ricattura, attraverso lo stalking, non dà i risultati che il manipolatore si aspetta, sale la cosiddetta rabbia narcisistica che, spesso, conduce il manipolatore a compiere il tanto odiato femmincidio o, addirittura a sopprimere la prole, se non a tentare o compiere il suicidio.

Tra l’altro, anche in assenza dell’esito fatale, sia il gaslighting che lo stalking creano danni molto gravi a livello psicologico, sino a configurare una ipotesi di sintomatologia analoga ad un disturbo post traumatico da stress.

Invero la lesione dell’identità personale, costituisce un trauma idoneo a determinare una frammentazione dell’identità che ben può assurgere a misura patologica.

Avvocata Rosa Petruccelli, studiosa del fenomeno del narcisismo ed ideatrice del progetto legislativo volto all’ introduzione della fattispecie del reato di manipolazione relazionale, nell’ambito del Progetto Al di là dell’amore,  della Fabbrica del Pensiero Creativo.

 

 

di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

Permuta di cosa presente contro cosa futura (Avv. Rosa Petruccelli)

Quesito

Ipotesi di tutela della proprietaria di un terreno che ne fa trasferimento al costruttore a fronte dell’attribuzione di un’unita immobiliare da realizzarsi sul medesimo, mediante contratto di permuta immobiliare di cosa presente con cosa futura.

La permuta del terreno (cosa presente) contro l’attribuzione di una unità immobiliare da costruire (cosa futura) presenta alcuni inconvenienti, in quanto, nel tempo del perfezionamento del contratto, il soggetto a favore del quale viene eseguita l’attribuzione della cosa futura non è più titolare della proprietà sul terreno, né è titolare della porzione immobiliare realizzanda.

In altri termini nel mentre la proprietà del terreno si trasferisce immediatamente al momento della stipula del contratto, il venditore/acquirente della cosa futura acquisterà il diritto di proprietà sull’unità immobiliare solo se e quando verrà ad esistenza.

Cosa succede, infatti, per l’ipotesi di inadempimento del costruttore, soprattutto qualora costui avesse, medio tempore, ceduto il terreno a terzi soggetti oppure fosse assoggettato alla procedura fallimentare?

In altri termini cosa succederebbe in caso di inadempimento del costruttore?

La proprietaria del terreno avrebbe quale strumento di tutela, l’azione di risoluzione per inadempimento del contratto. Ma l’azione di risoluzione non è opponibile agli aventi causa del costruttore.

Pertanto nell’ipotesi di inadempimento, ad esempio nel caso in cui il costruttore non avesse realizzato l’appartamento destinato all’ormai ex proprietaria dell’area, ma avesse già costruito e venduto gli altri appartamenti, realizzando il suo guadagno, l’azione di risoluzione non potrebbe pregiudicare i diritti acquisiti dagli aventi causa dal costruttore.

Analogamente in caso di fallimento del costruttore, l’ex proprietario del terreno non avrebbe potuto far altro se non iscrivere il proprio credito nello stato passivo del fallimento, destinato però ad essere pagato con moneta fallimentare.

A tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di fabbricati da costruire, il Governo ha  approvato, in esecuzione della delega contenuta nella legge 2 agosto 2004, n. 210, il Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122.

La fattispecie contrattuale in esame (ossia la permuta di area edificabile con un fabbricato da costruire) è certamente ricompresa nella disciplina di tutela.

Invero l’articolo 2 comma 1 del D.Lgs sopra menzionato dispone: “All’atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità, ovvero in un momento precedente, il costruttore e’ obbligato, a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fideiussione, anche secondo quanto previsto dall’articolo 1938 del codice civile, di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere dall’acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento. Restano comunque esclusi le somme per le quali e’ pattuito che debbano essere erogate da un soggetto mutuante, nonche’ i contributi pubblici già assistiti da autonoma garanzia”.

L’articolo in commento impone al costruttore, a pena di nullità del contratto preliminare, di consegnare all’acquirente una fideiussione di importo pari alle somme ed al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore abbia riscosso, ivi compresa, quindi, il valore del terreno ceduto.

Con conseguente necessità di quantificazione del valore del terreno, che non può coincidere con quella effettuata ai fini tributari.

Da ciò la necessità di un’espressa determinazione nel contratto di permuta del suddetto valore, in parallelo con la necessaria indicazione nel medesimo contratto della fideiussione a norma dell’articolo 6, comma 1, lettera g) del decreto.

Se le parti dichiarano un valore non conforme al “valore effettivo di mercato” del terreno ceduto al costruttore ne consegue una nullità relativa del contratto di permuta.

Ossia una nullità del contratto che può essere fatta valere soltanto dall’acquirente del bene futuro che ha ceduto il terreno.

Quanto alla determinazione del momento in cui il fabbricato deve considerarsi venuto ad esistenza ai fini del passaggio della proprietà e quindi anche del termine di efficacia della fideiussione, al fine di evitare problemi appare opportuno che nel contratto di permuta di cosa futura si stabilisca che, in deroga all’articolo 1472 c.c. il fabbricato si intende venuto ad esistenza solo nel momento in cui lo stesso versa in uno stadio tale da consentire il rilascio del certificato di agibilità.

A norma dell’articolo 3 del decreto legislativo 122/2005 “1. La fideiussione e’ rilasciata da una banca, da un’impresa esercente le assicurazioni o da intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni; essa deve garantire, nel caso in cui il costruttore incorra in una situazione di crisi di cui al comma 2, la restituzione delle somme e del valore di ogni altro eventuale corrispettivo effettivamente riscossi e dei relativi interessi legali maturati fino al momento in cui la predetta situazione si e’ verificata”.

Ciò sta a significare che il presupposto per l’escussione fideiussione è la situazione di crisi del costruttore. Intendendosi per situazione di crisi la situazione che ricorre nei casi in cui il costruttore sia sottoposto ad esecuzione immobiliare in relazione all’immobile oggetto del contratto, o al fallimento, amministrazione straordinaria, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa. Questi eventi, dunque, esauriscono le fattispecie in presenza delle quali scatta il rimedio della escussione della fideiussione.

Pertanto il costruttore non è obbligato a garantire altre possibili situazioni pericolose (pensiamo a iscrizioni di ipoteche, giudiziali o volontarie, trascrizione di sequestri o domande giudiziali). Formalità che possono sfociare nell’evizione, anche totale del bene immobile oggetto del contratto.

La tutela di questi possibili pregiudizi (sequestri, domande giudiziali o ipoteche è demandata alla tempestiva trascrizione del contratto preliminare nei pubblici registri immobiliari quale forma di pubblicità dichiarativa.

Quanto al momento di prestazione della fideiussione, il costruttore è obbligato a consegnare la fideiussione, all’atto della stipula del contratto o in un momento precedente, di importo corrispondente al valore riscosso prima del trasferimento della proprietà.

Altra forma di tutela a favore dell’acquirente di immobile da costruire prevista dal decreto legislativo 122/2005 consiste nell’obbligo del costruttore di contrarre una polizza assicurativa indennitaria decennale con effetto dalla data di ultimazione dei lavori a copertura dei danni al cui risarcimento sia tenuto ai sensi dell’articolo 1669 del c.c. derivanti da rovina totale o parziale, oppure da gravi difetti costruttivi delle opere.

Ad essere assicurato è, quindi, il diritto di credito dell’acquirente nascente dall’illecito contemplato nell’articolo 1669 del c.c., nei limiti in cui si configuri una responsabilità civile del costruttore.

Il legislatore ha previsto che la polizza indennitaria decennale debba coprire anche la responsabilità per danni a terzi. Il rilascio della polizza deve essere relativa all’intero fabbricato, ossia a beneficio di tutti gli acquirenti.

L’esigenza di tutela rispetto a vizi o difformità ex articolo 1669 del c.c. sussiste a prescindere dalla circostanza che la proprietà del suolo fosse o meno dell’acquirente. Quali sono le conseguenze in caso di mancata consegna della polizza?

All’inadempimento dell’obbligazione di consegna della polizza consegue la responsabilità contrattuale del costruttore nei confronti dell’acquirente.

Non vi è invece alcun rapporto tra la consegna della polizza  e la conclusione del contratto.

Ipotesi alternative: a) permuta di cosa presente contro cosa futura con riserva della proprietà;

Per ovviare all’inconveniente derivante dalla perdita immediata della titolarità del terreno a fronte dell’acquisto della unità immobiliare solo se e quando quest’ultima verrà ad esistenza è ipotizzabile l’uso di altri strumenti giuridici atti ad evitare tale squilibrio tra i contraenti.

Ad esempio si potrebbe procedere alla stipula di una permuta di cosa presente contro cosa futura con riserva della proprietà, di modo che il trasferimento della proprietà del terreno si verifichi solo quando il costruttore avrà adempiuto, ossia realizzato l’unità immobiliare (con relativo certificato di agibilità) e versato l’eventuale conguaglio in danaro.

Utilizzando tale schema contrattuale (previsto espressamente dall’articolo 1523 del c.c. per la vendita, ma che si ritiene utilizzabile anche per la permuta, in forza del rinvio contenuto nell’articolo 1555 del c.c. secondo cui le norme stabilite per la vendita si applicano alla permuta, in quanto siano con questa compatibili), si offre la possibilità ai contraenti di trasferire la proprietà del bene presente (terreno) in un momento diverso da quello in cui viene stipulato il contratto (di permuta di cosa presente con cosa futura).

In altri termini, al momento del rogito il costruttore entra in possesso del terreno, mentre il venditore del terreno/acquirente del bene futuro conserva il diritto di proprietà fino al momento in cui il prezzo verrà interamente pagato nei termini e con le modalità stabiliti.

Cosicchè qualora venisse a mancare il saldo del prezzo, avrà il diritto di riottenere la riconsegna del terreno, non avendone perduta la titolarità.

La vendita con riserva della proprietà configurerebbe un’ipotesi di vendita ad effetti reali differiti, nella quale cioè il motore dell’attribuzione è pur senso il consenso (articolo 1376 c.c.) raggiunto dalle parti in sede di stipulazione del contratto.

Ciò non esclude che nell’ambito della vicenda negoziale si evidenzino a carico dell’una e dell’altra parte svariate obbligazioni.

Si pensi per il venditore all’obbligo di consegna e all’obbligazione negativa di astenersi dal porre in essere atti volti ad impedire l’acquisto; per il compratore l’obbligo di pagare il prezzo, con particolar riferimento alle rate e di custodia della cosa. Il vero nodo concettuale è rappresentato dalla posizione giuridica dell’acquirente nel periodo intercorrente tra la posizione del contratto e il pagamento dell’ultima rata del prezzo. Il compratore sarebbe titolare di un diritto qualificabile come reale, come tale opponibile ai terzi (articolo 1524 prima comma c.c.).

In effetti il compratore ha la possibilità di fare uso della cosa come crede, né gli sono precluse facoltà di disposizione come accade nell’ipotesi di vendita di cosa futura o di cosa altrui.

In quest’ottica al venditore non competerebbe nulla di più se non una posizione di garanzia (anche se reale), meramente funzionale all’adempimento.

Il patto di riservato dominio deve essere esplicitato nel contratto di permuta di cosa presente contro cosa futura ed è, inoltre, necessario fare espressa e specifica menzione del patto nella nota di trascrizione. Infatti la sola trascrizione del contratto in assenza della menzione del patto di riservato dominio, non è sufficiente per renderlo opponibile ai terzi.

La scelta di questa opzione escluderebbe l’applicabilità  della disciplina di tutela di cui al D.lgs 122/2005 in quanto non vi sarebbe un esborso (di somme o di valore del terreno) anticipato da parte del permutante/acquirente di cosa futura,  con insussistenza dell’obbligo di rilascio di una fideiussione a garanzia, a pena di nullità relativa del contratto.

Ipotesi alternative b) apposizione di condizione sospensiva.

La tutela del venditore del terreno/acquirente del bene futuro potrebbe essere attuata, altresì, mediante l’apposizione di una condizione sospensiva, con conseguente differimento del trasferimento della proprietà del terreno in un momento successivo alla stipula del contratto al verificarsi di un determinato evento condizionale indicato nel contratto stesso (venuta ad esistenza del bene con rilascio del certificato di agibilità, oppure pagamento dell’ultima rata di prezzo).

In tal modo il rischio del venditore del terreno sarebbe azzerato in quanto il trasferimento della proprietà del terreno si verificherebbe soltanto a partire dal momento in cui l’unità immobiliare promessa in permuta sia venuta ad esistenza.

Ipotesi alternative c) apposizione di condizione risolutiva.

In alternativa alle ipotesi sub a) e b) è ipotizzabile ai fini della tutela del venditore del terreno l’apposizione di una condizione risolutiva, in presenza della quale, gli effetti del trasferimento della proprietà del terreno verificati immediatamente al momento della stipula del contratto si risolverebbero con efficacia ex tunc, ossia anche nei confronti dei terzi (che avessero eventualmente acquistato diritti dal costruttore poi rivelatosi inadempiente).

Avvocata Rosa Petruccelli

 

 

di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

Narcisismo patologico e dipendenza affettiva, i sei punti chiave da tenere a mente (Avv. Rosa Petruccelli)

L’obiettivo del convegno è quello di verificare lo stato dell’arte psichiatrica e giuridica, riguardo ad un fenomeno molto diffuso: il narcisismo patologico e la dipendenza affettiva.

L’approccio all’argomento non può che avere carattere interdisciplinare, in quanto ai fini di una efficace tutela giuridica, è necessario circoscrivere il fenomeno da un punto di vista psichiatrico.

Leggi anche: Il convegno

Introdurrò l’argomento individuando quelli che, a mio parere, sono i sei punti chiave da prendere in considerazione per un corretto inquadramento della fattispecie, per poi andare a verificare se la normativa vigente e, soprattutto, il reato di stalking sia strumento giuridico duttile ed idoneo alla tutela legale della vittima, vessata da condotte che, come vedremo, sono vere e proprie torture psicologiche.
Narcisismo patologico e dipendenza affettiva
Partirò dal titolo del convegno “Narcisismo patologico e dipendenza affettiva: profili giuridici e psicologici della manipolazione mentale”.

Ho riflettuto a lungo sull’aggettivo da utilizzare, per qualificare il termine “narcisismo”.

L’alternativa era tra “perverso” e “patologico”.

Da un punto di vista sostanziale, l’aggettivo più appropriato sarebbe stato “perverso”: narcisismo perverso”. In quanto il nucleo di tale disturbo della personalità è una sorta di crudeltà, di sadismo mentale.

Alla fine ho scelto il termine “patologico”: “narcisismo patologico”, per porre l’accento sulla particolare categoria di narcisismo di cui andiamo a parlare.

Il narcisismo, infatti, si snoda lungo una linea ideale, che va da un narcisismo sano, che è autostima, ad un narcisismo eccessivo, che si sostanzia in un disturbo della personalità.

Il disturbo narcisistico di personalità è un disturbo descritto nel DSM V che è uno dei manuali diagnostici delle malattie mentali, maggiormente consultato e maggiormente accreditato dalla comunità scientifica.

Molto importante è anche la precisazione contenuta nel sottotitolo del convegno “Profili giuridici e psicologici della manipolazione mentale”.

Perché è così importante?

Perché, a mio parere, per impostare correttamente la problematica della tutela giuridica della vittima del narcisismo perverso dobbiamo focalizzare l’attenzione sulla particolare tipologia di condotta, tipica del narcisista perverso.

Egli infatti si relaziona con gli altri, esclusivamente, mediante condotte manipolatorie.

Si tratta di una particolare forma di manipolazione mentale, che possiamo definire relazionale, una manipolazione, cioè, attuata nell’ambito di relazioni emotivamente caratterizzate.

Pensiamo ai rapporti tra coniugi, ai rapporti tra conviventi, tra genitori e figli o semplicemente tra amici.
Manipolazione relazionale
La manipolazione relazionale, costituisce, il nucleo da cui ha origine la dipendenza psicologica della vittima.

Dunque, noi abbiamo la dipendenza affettiva come conseguenza della manipolazione relazionale.

Parliamo di dipendenza affettiva perché, ci muoviamo, come ho già precisato, nell’ambito delle relazioni emotivamente caratterizzate.

Quest’aspetto è particolarmente importante per comprendere le peculiarità sia della manipolazione sia della dipendenza affettiva.

Da un lato abbiamo il manipolatore perverso, il quale costruisce ad arte ed in maniera fittizia rapporti di stima, di amicizia, di amore, per scopi personali ed opportunistici, dall’altro la vittima che, al contrario, quei sentimenti di stima, di affetto, di amicizia li prova realmente.

Questo duplice aspetto gioca un ruolo determinante per la caduta della vittima nell’abisso della dipendenza affettiva.
Dipendenza affettiva
Ed è proprio la dipendenza affettiva, connessa e conseguente alla manipolazione mentale che ci consente, spesso, di comprendere il motivo per cui, le vittime, pur subendo violenze fisiche e psicologiche notevoli non si ribellano e non abbandonano i partners violenti.

Inoltre la caratterizzazione “affettiva” del fenomeno manipolatorio ci consente di “intuire” a gravità del danno psicologico che la vittima subisce, tanto che, riguardo alle vittime del narcisismo perverso, la comunità scientifica parla di “disturbo post-traumatico da stress”.
L’identikit
Chi è, dunque, il soggetto affetto da disturbo narcisistico di personalità?

Può essere un uomo o una donna, ma in prevalenza sono uomini.

Il disturbo in oggetto rientra tra quelli che non comportano l’incapacità di intendere e di volere penalisticamente intesa, in quanto il disturbo non incide, negativamente, sulle capacità intellettive e cognitive dell’individuo.

La patologia risiede in una sorta di disfunzionalità affettiva ed emotiva.

Un famoso psichiatra americano, Cleckey, parla del narcisismo come di egocentrismo patologico ed incapacità di amare.

Robert Hare altro psichiatra americano, esperto di narcisismo, afferma che il soggetto affetto da tale disturbo, non è in grado di provare sentimenti umani, amore disinteressato, rimorso o senso di colpa.

Prova soltanto proto e mozioni.

Da un punto di vista mentale il narcisista perverso è sano.

Non presenta disturbi di ansia o altre manifestazioni psico-nevrotiche.

Anzi, al contrario mostra freddezza anche dinanzi a situazioni di forte stress.

E’ importante sottolineare come ci insegna lo psichiatra Robert Hare, che si tratta di un disturbo della personalità non curabile.

La terapia, quindi, non cambierà il carattere dei narcisisti perversi, perché essi si piacciono come sono, dentro e fuori, indipendentemente da quello che pensano gli altri.

Per tale motivo è necessario predisporre strumenti giuridici di carattere penale ed extrapenale a tutela della vittima dei narcisisti perversi.

Quali sono le tecniche manipolative usate dal narcisista patologico. La comunità degli psicologi e psichiatri ne elenca diverse: si va dalle bugie patologiche ai comportamenti ambivalenti, dalle distorsioni comunicative alle triangolazioni, dalla idealizzazione alla svalutazione.

Io accennerò soltanto ad una tecnica manipolativa, particolarmente subdola che gli psicologi americani chiamano gaslighiting.
Gaslighiting
Un termine che trae origine dal titolo di un film di un regista americano Gaslighiting, tradotto in italiano con il titolo “Angoscia”.

Narra la storia di un marito, il quale tenta di far impazzire la moglie, utilizzando varie tecniche manipolative e, in particolare, via alternado l’intensità della luce delle lampade a gas per poi negare l’avvenimento per indurre la moglie a credersi pazza.

Il gaslighting è una tecnica utilizzata dai narcisisti perversi per destabilizzare la vittima, per lederne l’autostima, e l’integrità psichica.

A quale scopo?

Allo scopo di esercitare una forma di controllo e di dominio sulla vittima.

A causa della manipolazione subita, la vittima è indotta a dubitare delle sue capacità di percezione della realtà.

Molto spesso il narcisista perverso raggiunge l’obiettivo isolando la vittima, o inducendola all’autoisolamento, insinuando dubbi sulla sua sanità mentale.

Scopo del gaslighiting e, dunque, destrutturare la personalità preesistente della vittima, caratterizzata da autonomia ed indipendenza, e sostituirla con un’altra personalità di tipo dipendente, mansueto, infantile, controllabile.

Quindi noi abbiamo una tipologia di dipendenza psicologica ed affettiva che non è preesistente, NON è espressione di una patologia o di un disturbo psicologico della vittima preesistente alla manipolazione

NO!

La dipendenza è una conseguenza del gaslighting, agito sulla vittima dal manipolatore perverso.

Ovviamente, nel momento in cui la manipolazione produce i suoi effetti la vittima non si rende conto dell’abuso psicologico che sta subendo.

Viceversa, sono i familiari che, semmai, si accorgono del cambiamento repentino della personalità del familiare, abusato dal narcisista perverso.

Ultimo punto da approfondire è, come possiamo distinguere le manipolazioni rilevanti da quelli che sono, invece, i condizionamenti fisiologici.
I caratteri della manipolazione
Ci sono tre caratteri che circoscrivono la manipolazione perversa e, quindi, penalmente rilevante, ossia.

1) La vessatorietà;

2) La fraudolenza

3) La ripetitività

La vessatorietà= Lo scopo del narcisista perverso è sottomettere la preda e, quindi, sottoporla al proprio dominio per il raggiungimento dei propri interessi: che possono essere economici, sessuali, o di puro divertimento o di puro sadismo mentale.

La fraudolenza= L’abusante narcisista utilizza giochi mentali, trucchi, inganni, distorsioni, proiezioni

Ripetitività= Un singolo comportamento vessatorio e fraudolento, in sé e per sé, non è in grado di produrre danni psicologici, ma il protrarsi nel tempo di condotte fraudolente e vessatorie, ripetute, consente al manipolatore perverso di raggiungere il risultato: ossia la lesione dell’integrità psichica della vittima.
Il plagio
Quindi in sostanza il perverso pone in essere condotte plagiarie.

Il codice Rocco del 1930 prevedeva il reato di plagio.

Reato che, com’è noto, fu dichiarato illegittimo, dalla Corte Costituzionale con una sentenza del 1986 e quindi abrogato.

L’eliminazione del reato di plagio dall’ordinamento penale ha creato un vuoto normativo.

Sono stati presentati diversi disegni di legge dal 2001 volti a reintrodurre il reato di manipolazione mentale, tentativi naufragati.

Un timido passo in avanti nella direzione della tutela dalla violenza psicologica si è fatto con l’introduzione del reato di stalking, ma in realtà, la fattispecie penale dello stalking non è in grado di contenere, al suo interno, le condotte manipolative poste in essere dal soggetto disturbato.

Infatti il reato di stalking mira a reprimere gli atti persecutori che si sostanziano in minacce e molestie intrusive della sfera altrui (pensiamo alle telefonate indesiderate, sms ossessivi, pedinamenti etc.)

Il gaslighting, invece, come abbiamo detto, è una condotta subdola e sottile che ha come scopo la destabilizzazione della personalità della vittima, ma NON attraverso atti persecutori, quanto piuttosto comportamenti ambivalenti, sottilmente sadici, mediante artifizi e raggiri, inganni anche comunicativi.

Dunque una sottile, pericolosa violenza psicologica che mira a ledere, modificare l’identità personale.

Il gaslighting è, dunque, una condotta di manipolazione relazionale che, meriterebbe, un’apposita figura delittuosa.

Se effettivamente si vuole raggiunger l’obiettivo di ridurre, drasticamente il numero dei femminicidi, bisogna anticipare la soglia di tutela penale, sanzionando i comportamenti manipolatori che, sono spesso, l’anticamera del femminicidio.

Avv. Rosa Petruccelli

di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

Commento a decisione n. 28/2013 dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva- a cura dell’Avv. Carlo Rombolà

Commento a decisione n. 28/2013 dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva

 

Il 9 settembre u.s., l’Alta Corte di Giustizia Sportiva si è pronunciata nei confronti del ricorso presentato dall’A.S.D. Valfabbrica, difesa dall’avv. Rosa Petruccelli del Foro di Perugia, contro la decisione del Comitato Regionale Umbro di escludere la ricorrente dal Campionato di Eccellenza (C.U. n. 3/bis del 18.07.2013, così come ribadito dal medesimo Comitato Regionale con delibera del 06.08.2013, pubblicata nel C.U. n.8 del 06.08.2013 a seguito del reclamo del 24.07.2013).

L’Alta Corte ha rigettato il ricorso dell’associazione sportiva dilettantistica del perugino, suffragando la propria decisione con un’ampia motivazione, in risposta alle deduzioni della ricorrente.

In essa confluiscono diverse importanti tematiche giuridico-sportive, quali la responsabilità oggettiva delle società, l’illecito sportivo ed i principi di correttezza, lealtà e probità nello sport, così come sanciti all’art. 1 comma I del Codice di Giustizia Sportiva.

L’esclusione era stata decisa a seguito di un presunto tentativo di illecito sportivo, perpetrato dall’ex tecnico della compagine umbra, al fine di alterare il risultato di una gara del Campionato di Promozione, che aveva portato all’applicazione del criterio di responsabilità oggettiva della società, per fatto di un suo tesserato.

A tale proposito, va precisato che è attualmente pendente avanti al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport un ricorso dell’allenatore per ottenere l’annullamento della condanna.

In seguito all’applicazione della sanzione, l’A.S.D. Valfabbrica si era trovata a dover scontare una forte penalizzazione in classifica (10 punti in prima istanza, poi ridotti a 2 in sede di ricorso), con la conseguenza di perdere il primato in classifica, ottenuto sino a quel momento nonché la possibilità di accedere alle gare di spareggio per la promozione, dovendo così “accontentarsi” della sola opportunità di disputare i play-off, utili al fine di un eventuale ripescaggio.

Ciò nonostante, vista l’ampia capacità sportiva della ricorrente, il 02.06.2013, la stessa vinceva la finale dei play-off, cui seguiva lo spareggio contro l’A.S.D. Gm10, disputatosi l’11.06.2013, anch’esso appannaggio della A.S.D. Valfabbrica.

Cosicché, quella che doveva essere una decisione quasi routinaria da parte del Comitato Regionale Umbro, rivelatosi comunque inflessibile nei confronti della ricorrente, costretta a pagare un conto salatissimo per il fatto di un suo tesserato (peraltro ancora da passare in giudicato, vista la pendenza di un nuovo giudizio di fronte al T.N.A.S.), ha causato, successivamente, il proporsi di un nuovo reclamo, resosi indispensabile per rispetto delle imprese sportive dell’A.S.D. Valfabbrica, capace di ribaltare – sul campo – il verdetto dei tribunali.

Infatti, a seguito della vittoria sull’A.S.D. Gm10, la ricorrente conquistava, di fatto, il diritto ad essere ripescata nel Campionato di Eccellenza Umbra, dimostrando, se non altro, di meritare il primato in classifica che le era stato tolto d’imperio qualche settimana prima.

A seguito della sconfitta nella gara del 2 giugno, l’A.S.D. Gm10 presentava istanza alla Corte Federale della F.I.G.C., in cui chiedeva di escludere la società Valfabbrica dalla classifica per eventuale ripescaggio, invocando una riserva che sarebbe stata presentata prima della sfida decisiva.

Tale incontro veniva prima omologato, come si evince dal C.U. n. 140 del 12.06.2013 e successivamente non più riconosciuto, con C.U. n. 3/bis del 18.07.2013.

Nella motivazione di quest’ultimo comunicato, si legge che l’A.S.D. Valfabbrica sarebbe stata esclusa dal ripescaggio ai sensi della lettera c), n. 5 del C.U. n. 88 del 02.02.2013, avendo riportato nelle ultime tre stagioni sportive condanna per illecito sportivo, con richiamo al provvedimento della Commissione Disciplinare Nazionale per il presunto tentativo di illecito perpetrato dall’ex allenatore della società umbra.

Alla pronuncia del 18 luglio, è seguito un nuovo ricorso del Valfabbrica, che ha dato vita ad un procedimento conclusosi ufficialmente solo il 03.10.2013, data di deposito della sentenza da parte dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva.

Tale sostanziosa premessa risulta indispensabile per una giusta comprensione dei temi del processo, nonché al fine di una corretta analisi giuridica dei fatti in commento.

In primo luogo, si discute sull’opportunità di accumunare, nel trattamento sanzionatorio, i due tipi di responsabilità, diretta ed oggettiva, che implicano, per definizione, un diverso grado di partecipazione all’illecito da parte della società sanzionata.

Nei fatti, la società umbra è stata penalizzata per un presunto (e quindi non comprovato) tentativo di illecito del suo allenatore dell’epoca, nonostante la mancata consumazione dell’illecito stesso e la vincita sul campo della partita incriminata.

Come evidenziato dall’avv. Petruccelli, la pretesa di una nuova esclusione in base al medesimo fatto illecito, a seguito della riconquista sul campo del diritto di accedere al Campionato di Eccellenza, andrebbe a determinare una sproporzione della sanzione inflitta al responsabile oggettivo, rispetto a quella comminata all’autore dell’illecito.

In proposito, sono stati invocati i principi di correttezza, lealtà e probità sportiva, in base ai quali le norme ambigue dovrebbero essere interpretate a favore del destinatario della misura sanzionatoria nonché il principio di ragionevolezza nell’applicazione delle norme stesse.

A nostro avviso, bene ha fatto la difesa della ricorrente a sostenere la violazione dei suddetti principi da parte delle Autorità Sportive (riconducibile anche e soprattutto alle imprecisioni dei soggetti che hanno dettato le norme).

Di notevole portata, inoltre, il peso specifico attribuibile al precedente, non vincolante, dell’U.S. Campobasso, ammesso al ripescaggio nella stagione 2010/2011, nonostante la condanna per illecito sportivo.

Inoltre, non si dimentichi che l’originaria sanzione comminata al Valfabbrica (10 punti di penalizzazione e 5.000,00 Euro di ammenda) è stata poi ridotta a 2 punti di penalizzazione ed a 1.500,00 Euro di ammenda dalla Commissione Disciplinare Nazionale, persuasa dall’avv. Petruccelli dell’estraneità della società al presunto fatto illecito.

D’altronde, non si possono non condividere i rilievi dell’Alta Corte, la quale, nel motivare la propria decisione, rammenta che “il sistema sportivo esige, nei confronti di tutti coloro che operano in un’associazione sportiva nella qualità di giocatori tesserati, di preposti a settori anche circoscritti o di soggetti rivestiti di funzioni organizzative o tecniche di allenamento e formazione, un’elevata sensibilità ai principi di lealtà e correttezza nelle loro attività; ciò a maggior ragione nello sport dilettantistico, in cui sono prevalenti gli interessi dei giovani e della loro formazione”.

Rimane il dubbio sul fatto che tale riflessione – che, come detto, ci trova pienamente d’accordo in linea di principio – possa riguardare il caso di specie, dal momento che l’illecito in parola non riveste i crismi della gravità, poiché si è trattato pur sempre di un presunto mero tentativo di illecito sportivo, in ambito al quale la società ricorrente non avrebbe avuto alcun ruolo, né propulsivo, né acquiescente.

A questo proposito, non si può fare a meno di notare che la precedente decisione della C.D.N. sulla vicenda (che – come sopra evidenziato – ha diminuito la pena in termini di ammenda e punti in classifica), dimostra come l’istituto della responsabilità oggettiva non vada più trattato alla medesima stregua della responsabilità diretta delle società, nel senso in cui la prima meriti un trattamento sanzionatorio più lieve, qualora la società dimostri la propria assoluta estraneità al presunto fatto illecito (cfr. caso Doni-Atalanta, uno dei primi precedenti in cui i giudici federali hanno nettamente distinto i due tipi di responsabilità, anche sotto il profilo sanzionatorio).

Ben più grave, ad avviso di chi scrive, si è rivelata l’esclusione dal ripescaggio (successiva alla finale dei play-off) per la A.S.D. Valfabbrica, alla quale è stato concesso, da parte delle Autorità sportive competenti, di partecipare alle competizioni per l’accesso alla serie superiore, senza curarsi della possibilità (e, forse, intimamente, denegando tale ipotesi) che la compagine sanzionata sarebbe riuscita a conquistare, sul campo, un diritto che le era stato tolto per responsabilità oggettiva.

Infatti, dal momento che l’esclusione dal concorso (leggasi, ripescaggio) doveva riguardare, ex C.U. n. 88 del 02.02.2013, “le società che nelle ultime stagioni sportive siano state condannate per illecito sportivo”, tanto valeva inibire alla compagine sanzionata anche la partecipazione ai play-off, che sarebbero serviti per comporre la graduatoria per gli eventuali ripescaggi di inizio stagione.

Da ultimo, è appena il caso di ricordare come sia, ad oggi, pendente di fronte al T.N.A.S. un giudizio di impugnazione da parte dell’ex tecnico del Valfabbrica, che potrebbe revisionare, se non ribaltare, la precedente pronuncia.

La situazione processuale, così come delineata in questa sede, offre numerosi spunti di riflessione, sia di diritto sostanziale, che procedurale.

Avvocato Carlo Rombolà

di Avvocato Rosa Petruccelli Inviato su Altro ....

L’altra faccia della medaglia: il doping. Relazione VIDEO seconda parte dell’Avv. Rosa Petruccelli al Convegno sullo Sport

DOPING

Convegno 18 gennaio 2013

Santa Maria degli Angeli  – Assisi

Anche il doping è una condotta definita e disciplinata sia dalle norme statali che dalle norme sportive. Ma a differenza delle ipotesi illeciti di cui ho parlato prima la disciplina del doping non la troviamo nel Codice di Giustizia Sportiva, ma in un apposito regolamento emanato dal CONI di cui dirò piuttosto corposo in seguito, a dimostrazione della forte condanna del mondo dello sport contro il fenomeno doping.

Che cos’è sostanzialmente il doping?

Il doping come tendenza ad assumere sostanze idonee a migliorare le prestazioni sportive è un fenomeno che è sempre esistito. Già nelle prime Olimpiadi, nel 776 A.C. gli atleti facevano uso di semi di sesamo, consideranti dopanti. Se venivano scoperti, venivano squalificati dalla gara e giustiziati. Oggi i semi di sesamo non sono considerati una sostanza dopante, così come le abitudini alimentari (ad esempio mangiare grandi quantitativi di carne rossa, non rientrano nel concetto moderno di doping.

Oggi con il termine doping si fa riferimento soprattutto all’uso di farmaci o di terapie mediche, in assenza di malattia. Quindi la sostanza dopante è un farmaco, che di per sé non è illecita, anzi ci aiuta a combattere le malattie, ma che assunta da un atleta sano, diventa illecita.

Ma perché un soggetto sano dovrebbe assumere un farmaco o sottoporsi ad una terapia medica?

Perché vi sono alcuni farmaci e alcune terapie mediche che modificando le condizioni biologiche dell’atleta migliorano le sue prestazioni agonistiche.

Pensiamo agli steroidi anabolizzanti che favoriscono il processo costruttivo dell’organismo (ad esempio il testosterone e i suoi derivati sintetici), oppure pensiamo agli ormoni che sono sostanze prodotte da ghiandole endocrine direttamente nel sangue e che vengono assunti dall’atleta perché migliorano l’assorbimento e il trasporto di ossigeno nel sangue. Si tratta dei tristemente noti EPO, DEPO, CERA. L’EPO.

E’ di questi giorni la notizia della confessione da parte di un famoso ciclista texano, Lance Armostrong, il quale appunto ha rivelato in una trasmissione televisiva di aver fatto uso di Epo, durante la sua carriera. Tant’è che gli sono stati revocati i sette tour de France.

Per quanto riguarda le terapie mediche illecite, pensiamo ad esempio all’autoemotrasfusione. In cosa consiste questo procedimento? In buona sostanza si preleva il sangue all’atleta un mese prima della gara. Il sangue viene conservato e poi rimesso nell’organismo dello stesso atleta qualche giorno prima della gara. Ciò comporta un aumento dei globuli rossi in circolazione, con un miglioramento della capacità aerobica e quindi un miglioramento delle prestazioni agonistiche.

Come dicevamo anche il doping è disciplinato sia dalle norme sportive, sia dalle norme statali.

Con la legge statale n. 376 del 2000, è considerato reato anche l’uso personale di sostanze vietate. Quindi in Italia mentre non costituisce reato l’uso personale di droga, l’uso personale di sostanze dopanti da parte dell’atleta costituisce reato. Un reato punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.

Con la stessa pena è punito chi procura la sostanza vietata atleta, chi gliela somministra (ad esempio perché gli fa l’iniezione della sostanza), chi favorisce l’uso della sostanza vietata. Mentre chi fa commercio abusivo di farmaci è punito più duramente. Con la reclusione da tre anni a sei anni.  Perché oltre al disvalore di procurare il farmaco vietato, ci guadagna pure. E’ importante sottolineare che risponde del reato di commercio abusivo di sostanze dopanti anche chi le vende ad un semplice frequentatore delle palestre. Cioè non deve trattarsi necessariamente di un atleta che assume la sostanza in vista di una competizione.

Per la legge statale anche l’assunzione di un farmaco che di per sé non è dopante e che quindi non è idoneo a migliorare le prestazioni sportive, se assunto al solo scopo di mascherare l’uso di sostanze doping, viene considerato doping, quindi punito come doping. Ad esempio se io sono assumo un farmaco fluidificante del sangue al solo scopo di evitare che vengano riscontrate tracce di Epo nel mio sangue è come se mi fossi dopata e quindi rischio da tre mesi a tre anni di reclusione.

Ma dove c’è scritto quali sono le sostanze dopanti?

La 376 del 2000 ha previsto la costituzione di una Commissione di Vigilanza Antidoping presso il Ministero della Salute. Tra i compiti della Commissione vi è quello di stilare la lista delle sostanze vietate, (tenendo conto anche della lista stilata a livello mondiale come diremo) e di aggiornarla al massimo ogni sei mesi. Perché chiaramente man mano che le ricerche vanno avanti si scoprono a livello scientifico sia nuovi farmaci che possono essere dopanti, sia nuovi sistemi per rilevare la sostanza vietata. Tant’è che le sostanze vietate  vengono  raggruppate in classi in base ai principi attivi.

La Commissione di Vigilanza Statale si occupa dei controlli antidoping a livello basso, amatoriale, mentre come vedremo meglio successivamente i controlli antidoping ad alto livello, sono effettuati dal CONI, mediante laboratori accreditati a livello internazionale.

Il sistema sportivo, sia a livello nazionale che internazionale punisce duramente il fenomeno doping.

Nel 1999 infatti è stata istituita la WADA, AGENZIA MONDIALE ANTIDOPING che coordina e promuove la lotta al doping a livello mondiale. Nel 2003 è stato emanato il CODICE WADA: un documento fondamentale che tutti gli ordinamenti sportivi nazionali devono recepire. In Italia infatti il CONI ha emanato il regolamento antidoping di  recepimento della normativa mondiale. Al Codice WADA è allegata una lista delle sostanze e delle terapie mediche vietate cui gli ordinamenti nazionali devono far riferimento.

Il regolamento antidoping punisce come doping i soggetti che hanno posto in essere 8 ipotesi di condotte.

Cioè per il legislatore sportivo è punito per aver commesso doping con la conseguente sanzione disciplinare che può arrivare a dodici anni di squalifica o alla radiazione a vita come successo per Armstrong, non solo l’atleta che è stato trovato positivo chimicamente ai controlli antidoping. Cioè sono state rinvenute nel suo sangue o nelle sue urine  tracce di sostanza dopante vietata, ma anche altre ipotesi e cioè

1)    Chi ha tentato di far uso della sostanza dopante.

2)    E’ equiparato al doping l’elusione dei controlli antidoping. Facciamo un esempio. Il CONI attraverso laboratori accreditati dal CIO, Comitato Olimpico Internazionale effettua dei controlli attraverso i propri medici. Comunica all’atleta che deve presentarsi in laboratorio per il prelievo del sangue e per le urine, allo scopo di verificare se l’atleta ha assunto sostanze dopanti. Se l’alteta si rifiuta e non ci va, per il legislatore sportivo è come se si fosse dopato.

3)    Viene punito come se si fosse dopato anche l’atleta che non comunica la propria reperibilità. Anche qui apro una parentesi sulle modalità di controllo antidoping.  Al fine di consentire al CONI di effettuare dei controlli antidoping a sorpresa, cioè senza che l’atleta venga avvisato preventivamente e al di fuori della competizione, l’atleta è obbligato a compilare ogni tre mesi una scheda con tutti i suoi spostamenti. Cioè già il primo di gennaio io atleta devo indicare dove sarò, mattina e pomeriggio nei successivi tre mesi. Perché in qualunque momento il CONI mi può controllare. E se magari il giorno x avevo programmato di essere in un certo luogo, e per un imprevisto o per un cambiamento di programma io atleta io atleta quel giorno non sarò in quel luogo, lo devo comunicare al CONI. Se non lo faccio e il CONI decide di farmi

un controllo a sorpresa, e non mi trova, per il legislatore sportivo è come se mi fossi dopata.

4)    Per il legislatore sportivo anche il semplice possesso di sostanza vietata equivale a doping. A meno che io atleta non riesca a dimostrare per quale motivo posseggo la sostanza vietata. Posso magari dire che quel farmaco ce l’ho io ma lo assume mio fratello, che non è un atleta e che ha una certa patologia che gli richiede l’uso di quel farmaco. Oppure posso dire che sono stato autorizzato dal CEFT perché pur essendo atleta ho bisogno di quel farmaco che è sì dopante, ma mi è necessario ed indispensabile per una mia patologia. E qui spiego meglio. Poiché abbiamo detto che le sostanze vietate sono farmaci, che quindi di per sé hanno quale scopo principale quello di  curare malattie, e poiché anche l’atleta si ammala, può capitare che l’atleta abbia bisogno di quel farmaco perché ammalato. In questo caso però prima di assumere  quella sostanza, deve chiedere l’autorizzazione ad una apposita Commissione, il CEFT : COMITATO ESENZIONE A FINI TERAPEUTICI. Cioè ci deve essere un medico del Coni che accerti che io atleta ho bisogno di prendere quel farmaco che ha caratteristiche dopanti ma per curare una mia malattia. E il medico deve altresì accertare che non esiste un analogo farmaco non dopante per la cura di quella malattia.

5)    Costituisce poi ovviamente doping il traffico delle sostanze dopanti,

6)    Come anche la sottoposizione a pratiche mediche vietate.

Quindi vediamo che da un punto di vista regolamentare e normativo abbiamo dei controlli molto capillari e rigidi.

Avvocato Rosa Petruccelli del Foro di Perugia